Categorizzare o contestualizzare? Meglio seguire entrambe le possibilità

Categorizzare o contestualizzare? Meglio seguire entrambe le possibilità

Il pensiero umano si fonda sulle analogie. Ricorriamo ad esse ogni volta che affrontiamo una nuova situazione. Se, ad esempio, prendiamo a noleggio un’auto che non abbiamo mai guidato prima, è grazie al ricorso all’analogia che riusciamo a comprenderne il funzionamento. Se non avessimo questa capacità di categorizzare la realtà ripartiremmo sempre da zero ogni volta che ci imbattiamo in qualcosa di nuovo. Saremmo disarmati come un neonato per il quale ogni nuovo concetto deve essere acquisito da zero.

Pur essendo il motore del pensiero umano, l’analogia rappresenta anche un potenziale limite alla nostra capacità di muoverci in contesti incerti. Il termine «in-certo» deriva infatti da «certus» e ha la stessa radice di cernere, che significa separare, dividere. Quando si hanno certezze si divide il vero dal falso, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Al contrario, quando siamo di fronte all’incertezza non possiamo dare valutazioni binarie, bianco o nero, vero o falso. Abbiamo davanti a noi tutta una gradazione di probabilità da 0 a 1, siamo nel mondo delle sfumature di grigio.

Di fronte all’incertezza la categorizzazione per analogia rappresenta solo uno dei due processi cognitivi che dobbiamo attivare. L’altro è la contestualizzazione. Il primo ci consente di vedere le similitudini rispetto al passato e a suggerirci velocemente delle linee di azione. Il secondo ci consente di vedere le eventuali differenze rispetto al passato. L’utilizzo combinato dei due processi cognitivi porta a chiederci se, per affrontare una data situazione, contino più le somiglianze o le differenze. Rende quindi la nostra azione più efficace in relazione alle condizioni e alla circostanza entro cui ci stiamo muovendo.

Dei due processi cognitivi, la categorizzazione prende spesso il sopravvento sulla contestualizzazione. Riconoscere le analogie, gli schemi, ci suggerisce una rapida linea d’azione. Porta efficienza alla nostra condotta, ma non sempre porta all’efficacia. Ottimizza la nostra azione nei sistemi ordinati, per i quali esiste una soluzione ottimale, ma non per quelli non ordinati, per i quali non esiste a priori una soluzione giusta a priori.

Il rischio della categorizzazione è la chiusura autoreferenziale. Di fronte all’incertezza tipica dei sistemi non ordinati ricorriamo a schemi e modelli automatici. In sostanza, non pensiamo al meglio delle nostre potenzialità. L’analogia può consolidare le nostre convinzioni. Sostenere, ad esempio, che l’esperienza ci dice che è sempre una buona cosa fare (o non fare) una certa azione, rappresenta un limite alla qualità del nostro pensiero. È come se ci limitassimo a seguire automaticamente una linea d’azione prescritta.

Fonte: Il Sole 24 Ore