Cerved, primo sciopero su formazione e intelligenza artificiale. Ecco perché

Cerved, primo sciopero su formazione e intelligenza artificiale. Ecco perché

Se c’è una cosa di cui i lavoratori devono preoccuparsi, stando alle valutazioni di un top manager bancario che abbiamo sentito in via riservata, è che la loro azienda non sta investendo o sta investendo poco in intelligenza artificiale. Se c’è un’azienda che ha investito molto su questo tema che è entrato nel sistema di produzione questa è Cerved. E proprio in Cerved, però, arriva il primo sciopero che tiene dentro intelligenza artificiale e formazione. Vediamo.

I sindacati di settore, Filcams, Fisascat e Uiltucs, hanno indetto lo stato di agitazione e uno sciopero di 8 ore nella società che occupa 2.700 persone e che, tra le sue attività, valuta la solvibilità e il merito creditizio delle imprese, monitora e gestisce il rischio di credito durante tutte le fasi e definisce strategie di marketing. Nei programmi di formazione, secondo quanto riferiscono i sindacati (Cerved per ora non commenta sul punto), l’azienda si sarebbe spinta sul crinale che interessa i livelli occupazionali, applicando un “metodo” formativo che ricorda Squid Game. Un paragone che appare forse troppo forte. Stando ai sindacati alcune lavoratrici e alcuni lavoratori si sono ritrovati «con una proposta di uscita dall’azienda, se non si fossero ritrovati nelle motivazioni, nella programmazione e nella gestione del piano formativo».

I rappresentanti dei lavoratori sostengono che così facendo «le persone non sanno quali sono i criteri con cui sono state inserite nel piano di formazione e non sanno cosa accadrà se non raggiungeranno i livelli di performance richiesti. Una situazione che non ha nulla di formativo ma semmai si delinea come pressione impropria». Sullo sfondo c’è il grande tema dell’intelligenza artificiale che è utilizzata e implementata da Cerved ormai da diversi anni ed è diventata una realtà concreta con cui fare i conti. Gli strumenti sempre più sofisticati fanno pensare a modelli organizzativi ridotti piuttosto che ampliati, in cui meno operatori possono coordinare più attività. «L’azienda – lamentano i sindacati – non ci ha inoltre risposto alle domande sul perché inserire lavoratrici e lavoratori nel piano a volte senza criterio oggettivo, perché chiedere la disponibilità a lasciare l’azienda, perché proporre obiettivi di miglioramento delle performance difficili da raggiungere».

Fonte: Il Sole 24 Ore