
Che gran goloso, Alessandro Manzoni!
Batte forte il cuore delle nonne, anche se quella nonna è la nobildonna Giulia Beccaria. Ha visto il bel mondo di Parigi, è colta e raffinata, mica può perdersi in ricette, eppure per una nipote amata si fa tutto. Nell’agosto del 1830, Vittoria Manzoni, figlia di Alessandro e di Enrichetta Blondel, viene mandata come convittrice al Collegio della Beata Vergine delle Grazie di Lodi, fondato da Maria Cosway, grande amica, fin dai tempi parigini, di nonna Giulia. Nei carteggi fra le due donne, conservati nell’Archivio della Fondazione Maria Cosway di Lodi, sono state trovate alcune ricette che Giulia scrive all’amica, forse proprio per farle conoscere quali erano le abitudini di Vittoria a Casa Manzoni. Chissà, oppure Maria Cosway era stata ospite della Villa di Brusuglio, dove in tavola non mancavano mai aceto di zambuco per condire il lesso, frutta di stagione o marmellate.
Il ritrovamento di due nuove lettere autografe di Giulia Beccaria è stato decisivo per mettere insieme le competenze e la passione di Monja Faraoni, Mariella Goffredo De Robertis e Jone Riva, curatrici di Ricette da Casa Manzoni, ricercato volume che solletica il palato e smorza una certa nostra visione dell’autore dei Promessi Sposi. Mica è solo il volto serioso e la gravitas che ci ha lasciato Francesco Hayez, ma anche quotidianità, interesse per innesti e alberi da frutto: «Ho qua delle fragole di Brusù (da 15 a 20) grosse come quelle che erano all’esposizione: paiono piccole aragoste o grossi gamberi», scriveva nel 1857 Teresa Stampa, seconda moglie di Alessandro.
Proviamo a immaginare Giulia Beccaria alla scrivania: «Voi sapete che siamo antiche amiche», scrive a Maria Cosway e le manda alcune ricette quali l’Aceto di zambuco, la Conserva di cerase, la Conserva di ciliegie, insieme alle inedite Conserva di frutta, Per seccar le ciliegie nella miglior maniera e Per conservar le fragole intiere, quest’ultima però con una grafia diversa da quella di Giulia. Che indica con precisione – da navigata donna di casa, anche se la casa non era il suo mondo d’elezione – le libbre di cerase e di zucchero, le casseruole e i recipienti da usare, come pure i procedimenti, lasciar liquefare la frutta, setacciare il liquore, seccare in forno.
Dopo le Ricette del collegio, il libro prosegue con le Ricette di Casa Manzoni e Jone Riva ricorda che «non si trova, nella copiosa corrispondenza di Manzoni o nelle sue opere, alcuna testimonianza di ricchi pranzi o di cibi prelibati». Le polpette sono offerte dall’oste del paese a Renzo che, per mangiare lo stufato, è dovuto venire a Milano, all’osteria della Luna piena. Anche il vino è citato in modo generico ma è noto che Alessandro Manzoni conosceva i vini approfonditamente, grazie a libri, manuali, scambi di idee e di maglioli con amici e conoscenti. Era anche un gran goloso, come confessa nel 1870 ad Ambrogio Valentini, allora proprietario del Forno delle Grucce, e nel ricordo dell’illustre nonno, Cesare Beccaria, visto solo una volta, scrive: «Mia madre, prima di mettermi in collegio, mi condusse a salutarlo ed egli andò a prendere dei cioccolatini per me. Mi pare ancora di vedere il nonno e l’armadio». Ma è nelle lettere delle due mogli, Enrichetta Blondel e Teresa Stampa, che si trovano accenni più espliciti dei cibi cucinati e serviti a Casa Manzoni. E, dato che in questi scambi, sono riportate solo le indicazioni delle pietanze, le ricette proposte nel libro vengono tratte dai testi dell’epoca, quale, da esempio, l’enciclopedico Pellegrino Artusi o dai manuali della tradizione lombarda, emiliana, piemontese e napoletana. Si andava di minestra di rane o di anatra con cavoli e salsiccia, di costolette di montone o di uova in salsa di pomidoro, fino ai marron glacé o al panettone, al quale il Centro nazionale Studi Manzoniani, guidato da Mauro Novelli, ha di recente dedicato il volumetto di acquolina, etimologie e scoperte Il panettone che è di Milano, scritto da Angello Stella con Jone Riva. Dove si ricorda come proprio Donna Teresa avesse coniato il verbo panatonare, cioè inzuppare il panettone al mattino nel latte o nel caffè, o la meraviglia di Alessandro, che scrive: «Ad Arona, con mia sorpresa non fanno panettone che per il Natale». Mica c’erano i turisti internazionali ad Arona a comprarlo tutto l’anno come nelle pasticcerie milanesi dei nostri giorni.
Se la cucina di Casa Manzoni era essenziale, più ricca risulta quella di Casa Schiff e Giorgini, con le quali arriviamo fino ai nipoti del poeta. La figlia Vittoria Manzoni sposa Giambattista Giorgini, scrittore, uomo politico e docente a Siena e Pisa, e lo scambio epistolare (conservato alla Biblioteca Braidense) con la figlia Matilde, maritata al chimico Roberto Schiff, fotografa la vita quotidiana e «una cucina semplice e sana». Un cacio arriva da Muro Lucano, i tartufi insaporiscono certi piatti, si serve anatra con le olive o lingua ai funghi, flan di legumi con salsa bianca o piccione arrosto, e il giovedì si prepara il dolce. Magari un budino di marroni o il torrone gelato alla napoletana da assaporare con le posate di casa. Erano d’argento, come quelle conservate ancor oggi a Casa Manzoni e che hanno ispirato Laura Carcangiu e Sara Uggè, allieve del Liceo artistico Callisto Piazza di Lodi, nel creare i motivi grafici del libro (e le illustrazioni). Eleganti cucchiai, filiformi forchette e stilizzati coltelli che furono anche tra le mani di Manzoni. Il punzone è ben visibile: MB, Manzoni-Blondel o Manzoni-Beccaria? È proprio vero – anche solo in una sigla – che Manzoni non smette mai di meravigliarci e di essere cittadino del contemporaneo.
Fonte: Il Sole 24 Ore