Chery pronta ad acquisizioni in Europa e nel mirino c’è ancora Maserati

Chery pronta ad acquisizioni in Europa e nel mirino c’è ancora Maserati

Il nodo Jagura land Rover

La casa cinese, infatti, produceva (e produce) i modelli di Jaguar e Land Rover (gruppo indiano Tata) ma qualche anno fa propose uno scandaloso clone della Evoque (pratica comune in cina anni fa visto che Byd della prima ora clonava la Bmw X5). L’incidente che aveva coinvolto i due governi, inglese e cinese, fu poi assorbito e ora i rapporti sono normalizzati. Nei giorni scorsi, tuttavia abbiamo osservato direttamente un fatto strano: in occasione di un summit Chery a Wuhu, i modelli di tutti i brand del gruppo erano schierati in un piazzale di un mega evento di reveal della nuova Omoda 3. E non c’erano solo Omoda, Jaecoo, iCar (ne parliamo fra poco) e Lapas (brand per il Sud America) ma anche una Jaguar e una Land Rover. E il dubbio sorto subito è che Chery sia pronta ad acquisire da Tata Motors il gruppo luxury inglese che magari, insieme a Maserati, potrebbe creare un polo del lusso dando anche ossigeno e sostegno alle fabbriche inglesi e italiane dei tre marchi in crisi. Non solo: a giugno 2024 Jlr e Chery hanno firmato lettera d’intenti per la concessione in licenza del marchio Freelander alla nuova joint venture (battezzata CJR) per la produzione di veicoli elettrici in Cina. In base al nuovo accordo di licenza proposto, da indiscrezioni di rapida attuazione, la joint venture si orienterà alla produzione di un portfolio avanzato di veicoli elettrici basati sull’architettura EV di Chery, esclusivamente con il marchio Freelander.

Zhang, tuttavia, a una domanda diretta del Sole 24 Ore esclude una integrazione per acquisizione, quanto ipotizza un rafforzamento delle sinergie industriali e tecnologiche in seno alla partnership tra Chery e JLR/Tata.

Verso la creazione di un consorzio cinese per l’automotive

«Io spingo sulle collaborazioni e sulla condivisione aperta, dice il top manager cinese, per creare sinergie e migliorare lo stato di salute dell’industria automotive». E questo ci pare un approccio Open source, quasi socialista e forse ideologicamente naturale per un gruppo statale cinese. E poi c’è un altro aspetto: il consolidamento in atto dell’automotive cinese. È inevitabile, come ci ha spiegato Dario Duse di AlixPartners, che sia in corso una selezione naturale dove resteranno magari solo tre mega gruppi. Ma Zhang si spinge oltre: “Credo sia necessaria una collaborazione tra tutti i gruppi cinesi per mettere risorse a fattor comune e migliorare redditività e qualità (in Chery, e lo abbiamo visto, in fabbrica sono ossessionati dalla qualità, ndr). Insomma, quella che Chery e Zhang lanciano è una sorta di Airbus tutto cinese dell’automotive. E questa ipotesi che aumenta la già impressionante potenza di fuoco dell’auto cinese non può che destare qualche ulteriore preoccupazione nei vertici dei grandi gruppi Europei. Del resto, e lo abbiamo notato osservando da vicino i nuovi modelli al Salone di Shanghai, e facendo un test drive maratona di 1.400 km per testare i consumi di una Omoda 5 Super Hybrid, quello che sussiste tra i marchi e i gruppi cinesi è una condivisione di elementi e componenti come maniglie, elementi di arredo, minuteria, display, basi di ricarica wireless. Pezzi che, di qualità indubbiamente molto alta, sono comuni a molti modelli. Una strategia che abbatte i costi a livello di sistema industriale e genera una specializzazione dei finitori: un solo pezzo per tutti, ma solo quello che l’utente normale non nota.

Questo elemento organizzativo insieme a prodotti di alto livello, con powertrain ibridi extended range o elettrici rendono Chery e tutto il settore auto cinese una vera macchina da guerra e per arginarla i dazi servono poco, anzi creano maggiori problemi. Zhang ovviamente è fortemente critico sulle barriere tariffarie e punta a dialogare per arrivare a una rimozione anche di quelle europee per le auto elettriche. “Le guerre commerciali – dice – fanno male a tutti”.

Sembra essere invece in stand by lo sbarco negli USA e l’ipotesi di una fabbrica in America, sulla scia di quanto fatto decenni fa giapponesi, coreani ed Europei. “L’attuale situazione di incertezza sui dazi e sulla politica negli Usa ci spingono alla prudenza e mantenere una linea di attesa”. Insomma, Zhang non esclude l’ingresso nel mercato americano, ma occorre una stabilizzazione dei rapporti commerciali e politici tra i due paesi”.

Fonte: Il Sole 24 Ore