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Cinquanta anni fa moriva Emilio Lussu, scrittore e politico visionario
Lo Stato
Lussu voleva un’autonomia libertaria fondata sul risveglio delle coscienze, non ottriata dallo Stato. Del resto, lo Stato non è un sacramento ma è la casa di chi lo abita. In questo Lussu riconosce l’arguzia di Lenin nel capire come lo Stato zarista non poteva essere riformato; andava abbattuto alla radice: “Lenin vedeva nello Stato russo la fortezza nemica in cui qualunque fosse l’architettura dei suoi bastioni, s’annidava la classe dominante. Nessun dubbio dunque: la fortezza non la si può attaccare che con le armi alla mano, e la si rade al suolo.” (Teoria della insurrezione, 1936). Da qui, la critica verso l’atteggiamento legalitario e riformista dei socialdemocratici europei, anch’essi incapaci -riteneva- di coalizzare le masse popolari verso la rifondazione socialista della società.
Uomo di pensiero e d’azione
Un uomo di pensiero e d’azione, dunque, un teorico e un combattente al contempo. All’inizio giovane interventista, poi, dinanzi agli orrori della guerra, pacifista ma mai arrendevole, mai rinunciatario. Struggente il suo ricordo della grande Guerra, di quei quattro anni passati in trincea ad assaltare gli avamposti nemici. “Di tutti i momenti della guerra –scriveva- quello precedente l’assalto era il più terribile. L’assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? Le mitragliatrici, tutte, sdraiate sul ventre imbottito di cartucce, ci aspettavano. Chi non ha conosciuto quegli istanti, non ha conosciuto la guerra”. E, poco prima di un assalto: “…La 10ª stava di fronte.. ne distinguevo tutti i soldati. Due si mossero e io li vidi, uno affianco all’altro, aggiustarsi il fucile sotto il mento. Uno si curvò, fece partire il colpo e si accovacciò su se stesso. L’altro lo imitò e stramazzò accanto al primo. Era codardia, coraggio, pazzia? Il primo era un veterano del Carso. Savoia! gridò il capitano Bravini. Savoia! ripeterono i reparti.” (Un anno sull’altipiano, 1937).
La parola Patria
Anche la parola Patria va liberata da populismo e conformismo, altrimenti diventa: “Patria fittizia, scolastica, fascista. Noi in guerra abbiamo imparato a conoscere un’altra Patria, non quella degli egoismi, degli arrivismi, dei fornitori dello Stato, dei professori di Università, ma la Patria della grande massa, di quelli che l’hanno servita senza saperlo, di quelli che l’hanno pronunziata, morendo, senza conoscerla.” (Intervento rivolto all’on Dore, Il Solco, 28.8.1921).
Da rileggere anche le pagine di Marcia su Roma e dintorni (1931), ove si ricostruisce la temperie sociale e culturale su cui fece breccia il fascismo. E tanti episodi di conformismo, opportunismo, populismo becero e violento, di cui furono protagonisti tanti mezzi uomini che il fascismo fecero ascendere per poi divenirne invariabilmente detrattori, appena cambiato il vento. Uno di questi, tanti, era alla guida del gruppo di squadristi che tentò di linciare Lussu irrompendo nella sua abitazione dalla piazza antistante, tale Sig.Nurchis, il quale: “..si comportò poco romanamente. Al solo rumore dello sparo, svenne, credendosi ucciso, e fu dato per morto sul campo. Era un veterano del manganello e dell’olio di ricino e godeva fama di audace sanguinario. Effettivamente aveva compiuto molte operazioni ardite contro case abbandonate, avversari inermi e isolati, donne, ragazzi. Attualmente, superata la crisi, ha ripreso baldanza e arie di comando. Presumibilmente, se le nespole matureranno, si coprirà di gloria nel difendere l’impero.”.
Si leggono tutte d’un fiato le pagine di Lussu, che oltre che mirabile scrittore, era dotato di un’ironia sottile e tagliente; anche questa merce rara, oggi, nell’epoca dei tweet e delle immagini social che hanno tolto cittadinanza persino alla lingua italiana. Così, dopo la fuga da Lipari, ricordava l’accoglienza ricevuta a casa dello scrittore inglese Wells…ove “ Tutti, naturalmente, parlavamo inglese, dio ci perdoni, principalmente con i gesti, ampi o contenuti a seconda dell’argomento, delle mani e persino dei piedi. Fu in una di queste esposizioni obbligatoriamente movimentate che Fausto Nitti rovesciò e ridusse in frantumi un’anfora cinese della dinastia dei Ming. E’ certo, checchè ne dica, che Fausto pensò al suicidio, e, se avesse potuto sparire sul momento con una pillola, l’avrebbe fatto. Noi della banda avemmo l’impressione del naufragio, come se il nostro guscio si fosse sprofondato negli abissi del Mediterraneo. Gioacchino dolci rimase con la bocca spalancata e credo fosse incapace di chiuderla perché gli mancava il respiro. Sovranamente impassibile, con un tenue sorriso di leggero gradimento, Wells offrì a Fausto una sigaretta e gliela accese. A me parve che fosse quella una forma simbolica di aprire il fuoco sul nemico. E iniziai sull’istante quel ciclo di considerazioni sulla civiltà britannica, che doveva tanto allargarsi in seguito, e che un giorno o l’altro, tempo permettendolo, fisserò sulla carta .”.(La Catena, 1927).
Fonte: Il Sole 24 Ore