Colori e profumi di Oaxaca, anima autentica del Messico

Colori e profumi di Oaxaca, anima autentica del Messico

Oaxaca è una città in Technicolor. Lo è visivamente, forse grazie a un cielo azzurro terso che sembra quasi dipinto, e lo è certamente per le sue case colorate. specchio di un’arte locale che dei colori brillanti fa la sua cifra stilistica. Una particolarità che mette di buonumore fin dall’arrivo. Siamo nel Messico meridionale, nella parte dove il continente americano si restringe in vista dello stretto di Panama, lontani dalle classiche mete turistiche come lo Yucatan e dalla capitale, Città del Messico. Ecco un itinerario pensato per voi.

L’altro Messico

Eppure Oaxaca sta scalando posizioni come luogo d’interesse per diversi motivi: è infatti bandiera di un Messico autentico, che sembra proteggere con forza tradizioni e peculiarità: l’architettura di chiara impronta coloniale, a partire dall’imponente chiesa barocca di San Domenico, costruita a cavallo fra XVI e XVII secolo, e dell’adiacente convento oggi convertito in centro culturale il cui giardino botanico merita decisamente una visita, fino al sito archeologico di Monte Albán, l’antica “capitale” della civiltà zapoteca, sottomessa a fatica dalla più nota azteca, il cui dialetto è ancora oggi usato da molti locali. Poi la cucina, che dalle pentole di casa ha ricevuto consacrazione ufficiale in ristoranti di alto livello come Alfonsina, El Criollo e Zandunga. Le numerose gallerie d’arte che si alternano a negozi dove acquistare specialità dell’artigianato locale, dalle terracotte ai tappeti di lana dai colori naturali ricavati da piante e insetti come la cocciniglia, passando per gli alebrijes, coloratissime figure spesso di animali fatte di legno o cartapesta, per finire con i mercati cittadini. Uno dei più importanti e affollati è quello chiamato “20 de Noviembre”, dove si possono ammirare dal vivo le donne che preparano tortillas e tamales, una specie di involtino di foglie di mais dal ripieno variabile, di solito carne e verdure, oppure che cuociono carni su griglie roventi avvolte in una cortina di fumo

Pulque protagonista sulle tavole

I piatti tipici si servono con bevande a base di frutta, birra locale e, in qualche caso, il pulque, ovvero la bevanda leggermente alcolica ottenuta dalla fermentazione dell’agave e già consumata dalle popolazioni precolombiane. Il motivo per il quale il pulque, delicatamente profumato e leggermente acidulo, sia ancora un apprezzato protagonista sulle tavole di Oaxaca lo si capisce uscendo dalla città verso la Sierra Norte o, in direzione opposta, verso la Sierra Sur. Il paesaggio aspro e montuoso ha due costanti: il cactus e l’agave. Se il primo richiama alla mente vecchi film western, la seconda è la regina incontrastata di questo territorio. L’agave un tempo veniva trasformata, oltre che nel pulque, in tessuti, cibo, combustibile, medicinali e perfino aghi da cucito (le spine delle foglie sono durissime ed estremamente appuntite). Oggi, coltivata o silvestre, dell’agave si usa soprattutto il cuore, la cosiddetta piña, che viene cimata a colpi di machete dalle foglie che la proteggono, staccata dal terreno e poi cotta in un forno costituito da una grande fossa circolare scavata nella terra nella quale si ripone legna ardente per poi ricoprire il tutto di altra terra. La polpa della piña, una volta cotta, è dolce come il miele e, dopo una fermentazione, la si distilla con il suo liquido per ottenere il celebre – e di crescente successo mondiale – mezcal.

Mezcal, distillato d’elezione

Mezcal che per gran parte arriva proprio dallo stato di Oaxaca. A differenza del tequila, però, che si ottiene da una sola varietà di agave, l’agave azul, il mezcal si può ottenere da oltre quaranta varietà diverse di agave, distillate in purezza o successivamente mescolate, che garantiscono uno spettro aromatico enorme quanto sorprendente, soprattutto per chi ne conosce solo una tipologia, la più diffusa Espadin, o crede ancora che il mezcal sia il distillato che sa semplicemente di fumo e contiene nella bottiglia un verme. Il mezcal per dirla tutta, più ancora del tequila, è dunque il vero distillato simbolo del Messico. E lo ha capito molto bene Luca Gargano, patron della genovese Velier, che insieme a un pugno di piccoli agricoltori-distillatori locali ha da poco lanciato anche in Italia il progetto Single Palenque. Palenque significa sostanzialmente “distilleria”, ma il palenquero non è solo colui che gestisce l’alambicco di distillazione: è anche l’uomo che lavora nei campi di agave, trasporta le piñas (alcune possono pesare anche un centinaio di chilogrammi) al forno di cottura o percorre ripidi sentieri per andare a raccogliere le varietà selvatiche. È un lavoro manuale ed è un lavoro durissimo, anche perché si svolge senza poter ricorrere ad alcuna tecnologia moderna e perché, a differenza dell’uva per il vino o dell’orzo per la birra, l’agave giunge a maturazione dopo anni. Dai cinque ai sette nel migliore dei casi, anche venti per varietà come il Barril o l’Arroqueño. Il progetto Single Palenque dunque ha il merito di valorizzare e sostenere il lavoro dei “figli dell’agave”, famiglie contadine dedite da generazioni a questa pianta antica ed endemica di questa zona del Messico. E chissà, forse sono proprio i mezcal di singole distillerie, così diversi l’uno dall’altro, la migliore cartina di tornasole per capire la bellezza e la cultura di Oaxaca e dintorni: in fondo, è la pianta dell’agave il filo rosso che lega cultura precolombiana e colonialismo spagnolo, arte “pagana” e cristiana, e tutte le varie anime che fanno meritare a Oaxaca un posto di diritto nell’agenda delle mete da visitare.

Fonte: Il Sole 24 Ore