Come sarà la casa connessa? Te lo dice persino il frigorifero che controllerà tutto
(Iron Man), il suo fedele Jarvis e la villa di Malibu farcita di tecnologia, proiezioni virtuali e automatismi di ogni genere. La domotica, quella che sta cambiando la faccia di milioni di case, è un’altra. Più accessibile, anche se magari non per tutti, sicuramente più facile da usare. E sempre più diffusa. In Italia si spendono oggi per la smart home oltre 560 milioni di euro e si supererà quota un miliardo entro il 2023 (lo dice il rapporto “Internet of things nelle case italiane” del Centro studi Tim). Dal 1907 a oggi, dall’hotel di Chicago che per primo iniziò ad utilizzare un impianto di aria condizionata automatico alle soluzioni per la domotica dei grandi nomi del digitale (Apple, Google, Samsung, Huawei, Amazon in ordine sparso), è cambiato ovviamente tutto. La casa intelligente che promette efficienza energetica, comfort e sicurezza, che si comanda con la voce e si controlla via app da remoto, vive però ancora di device e software proprietari, che si parlano ancora a fatica fra di loro, nonostante l’abbondanza di protocolli di comunicazione universali, da Bluetooth a Zigbee, dal Wi-Fi a Z-Wave. Sarà il 5G a colmare il buco di interoperabilità, oppure servirà un nuovo standard di connettività (Connected Home over IP) sponsorizzato dalle big tech americane e dalla Zigbee Alliance? Vedremo.
Se ogni vendor ha di fatto il suo modello di casa domotica, all’utente rimane la possibilità di scegliere se investire qualche migliaio di euro in un sistema a cui collegare i vari impianti (elettrico, termico, idraulico) e altri elementi della casa (porte, finestre, tapparelle….), scommettere sulla piattaforma di un brand oppure digitalizzare l’ambiente domestico a piccoli passi e in modalità “fai da te”, puntando su apparecchi low-cost. Le possibilità sono infinite e dal display del proprio smartphone si può veramente diventare più ecosostenibili e risparmiare fino al 30% dei costi, climatizzando gli ambienti in base alla loro esposizione o al clima esterno.
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Un ecosistema a cui guardare è per esempio quello di Samsung. Con SmartThings e l’omonima app (per Android e iOs) si controlla lo status degli elettrodomestici compatibili direttamente dal telefonino, mentre si è fuori casa, si impostano i programmi per ciascuna stanza e si condividono le autorizzazioni d’uso dei vari apparecchi con i membri della famiglia. Dove sta il salto in avanti della casa intelligente alla coreana? Nel poter creare “scene” in cui raggruppare diversi dispositivi e stabilire azioni simultanee. Il funzionamento degli oggetti connessi, insomma, si disegna con lo smartphone e si entra così a passi veloci nel paradigma “connected living” che riflette le esigenze e le esperienze del consumatore digitale. Al centro di questo mondo non c’è una centralina ma un frigorifero, il Family Hub, icona della visione “IoT ready” di Samsung e principale touch point della smart home grazie al display da 21,5 pollici integrato. Un ecosistema molto simile è quello di Lg, che ruota intorno alla piattaforma ThinQ e all’uso pervasivo dell’intelligenza artificiale.
Ecosistemi sono anche quelli dei marchi di domotica più tradizionali, come Bticino (Gruppo Legrande), Vimar o Gewiss tanto per citare nomi “italiani”. In questo caso il cervello pensante della casa è un’unità di controllo centrale, tramite la quale programmare l’operatività di impianti e dispositivi utilizzando la voce, un display, un’app, un telecomando o appositi pulsanti. Una piattaforma per la casa connessa, basata su un termostato intelligente con Amazon Alexa, è Homix di Enel X, con la quale gestire comodamente caldaia e riscaldamento e controllare una molteplicità di dispositivi digitali. Homix, dicono da Enel X, riflette l’idea di un uso innovativo dell’energia per confrontarsi con i giganti americani e cinesi, gli outsider come Ikea e gli specialisti come Netatmo o tado°. Google e Amazon sono infatti la faccia più nota della domotica fai da te, mondo che abbraccia anche i progetti di smart home realizzabili con i “computer on a chip” come Arduino e Raspberry. Gli speaker Nest ed Echo sono l’emblema di una rivoluzione che parte dal basso, da apparecchi da poche decine di euro con i quali interagire con la voce e a cui accoppiare altri accessori a basso costo. L’intelligenza artificiale di cui sono dotati è basica ma sufficiente. Anche senza essere Iron Man.
Fonte: Il Sole 24 Ore