Come trasformare i dipendenti in uscita in fedeli “Alumni”
Secondo alcune recenti ricerche di Microsoft, circa il 40% dei dipendenti sarebbe pronto, nei prossimi mesi, a cambiare lavoro. Questo fenomeno è in parte legato al periodo post Covid-19 e, in parte, alla ricerca di nuovi valori e di un migliore bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa. Tutte queste risorse in uscita rappresentano un problema per le aziende, ma anche una grande opportunità. Di solito, all’interno del mondo aziendale, si dedicano tantissime energie e risorse al processo di onboarding: si cerca di pianificare tutto nel dettaglio e di dare la migliore impressione di sé.
Quando invece una persona decide di lasciare la propria società la situazione cambia radicalmente: in alcuni casi (pochi) si dedica del tempo per una breve intervista, ma molto spesso si fanno compilare dei moduli e si danno chiare indicazioni per la restituzione dei vari benefit. E queste semplici attività solo riservate ai dipendenti con i quali i rapporti sono distesi perché, in caso contrario, il trattamento ricevuto da parte degli ex manager può essere molto duro e, in situazioni più estreme, chi lascia viene etichettato come traditore della propria azienda.
Questo approccio, nel medio-lungo periodo, può trasformarsi in un gravissimo errore. Le società di consulenza hanno in parte tracciato questo percorso circolare e hanno capito, già da qualche tempo, quanto sia importante mantenere dei buoni rapporti con i propri ex dipendenti. Perché? Il primo motivo è legato al fatto che molti – soprattutto se ricoprono ruoli apicali – potrebbero trasformarsi in clienti, fornitori, ambassador o addirittura ritornare come dipendenti in futuro. Una ricerca condotta nel 2019 da People Path e Cornell University ha dimostrato che più di un terzo degli ex dipendenti mantiene rapporti con la sua vecchia azienda come fornitore o cliente e che circa il 15% delle assunzioni arriva da reinserimento di ex dipendenti o persone da loro segnalate. In generale – se escludiamo i casi limite – il processo di uscita dovrebbe essere caratterizzato dagli stessi valori che le aziende raccontano in fase di assunzione.
Se, ad esempio, lo spirito di squadra è importante, perché deve essere trascurato quando una persona decide di affrontare nuove sfide professionali? Un gruppo può restare tale anche se qualcuno decide di andare via. E per una società è meglio gestire la dinamica di gruppo ibrido piuttosto che subirla in modo indiretto. Tutte le aziende hanno ex colleghi che si incontrano periodicamente e che mantengono tra loro buoni rapporti. E non c’è nulla di sbagliato o di negativo in questo.
Gestire efficacemente il processo di uscita di una risorsa può avere un considerevole impatto sull’idea che i dipendenti hanno della propria società e, in alcuni casi, può addirittura renderli più contenti di lavorare in un ambiente così evoluto. Il contrario può rendere, invece, l’ambiente più pesante e creare un clima timoroso e sospettoso, incrinando spesso i rapporti all’interno. I manager dovrebbero imparare ad ammettere che le persone, ad un certo punto della loro carriera, possano decidere di cambiare lavoro e che anche se tutti si augurano di collaborare a lungo, l’eventuale uscita di qualche componente di un team è un evento assolutamente plausibile. Riconoscere questo aspetto potrebbe rappresentare già un enorme passo in avanti per il management di una società.
Fonte: Il Sole 24 Ore