Contestazione alla ministra Roccella, è censura o semplice dissenso?
I fatti: ieri si è dato avvio agli “Stati generali della natalità”, evento organizzato da una fondazione pro-famiglia che si batte contro la crisi demografica, davanti a una platea piena di scolaresche. All’inaugurazione dell’incontro, la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella all’inizio del suo intervento è stata oggetto di una contestazione assai rumorosa di poche decine di giovani di un collettivo, che rivendicavano con slogan un po’ stile anni settanta («Sul mio corpo decido io») il diritto delle donne all’autodeterminazione.
Per placare i contestatori, gli organizzatori davano la parola a una ragazza del collettivo, che leggeva un comunicato di critica alle politiche antiabortiste e al modello culturale fondato sulla famiglia tradizionale, impastato di riferimenti alla guerra in Israele e alle nefandezze del capitalismo.
Durante tale intervento, la ministra abbandonava la sala e, qualche minuto dopo, chiedeva su Facebook la solidarietà nei suoi confronti «dopo l’atto di censura che questa mattina mi ha impedito di parlare» alla segretaria del Pd, a tutta la sinistra, agli intellettuali – Antonio Scurati, Roberto Saviano, Nicola Lagioia, Chiara Valerio, ecc. -, alla “grande stampa” e alla “stampa militante”.
Un primo dato: quello che riempie molte pagine dei giornali ci sembra in assoluto un piccolo episodio di pochissima rilevanza in generale, per l’esiguo numero delle persone coinvolte, per la minima incisione sulla libertà del ministro che, stando alla cronaca, non ha aspettato molto per decidere che non avrebbe più preso la parola. Fa una certa impressione, dunque, osservare le reazioni indignate di Roccella, anzitutto, ma anche di politici e commentatori di parte non solo governativa, che ci paiono sovrastimare l’accaduto.
Come spesso accade, quando si pretende di estrarre reazioni potenti da un episodio complessivamente modesto, sia pure molesto, un metodo è quello di dargli un nome altisonante: una banalissima contestazione a cui ogni politico, soprattutto se di vertice, deve sapere di essere sottoposto, viene battezzata “censura”.
Fonte: Il Sole 24 Ore