Conti pubblici per ora in sicurezza ma la vera sfida è la crescita

Conti pubblici per ora in sicurezza ma la vera sfida è la crescita

Il 2025 si apre con una conferma che rende problematico centrare gli obiettivi di crescita fissati per quest’anno. Secondo i dati resi noti dall’Istat, a novembre l’indice destagionalizzato della produzione industriale ha registrato un incremento congiunturale dello 0,3%, il che parrebbe una buona notizia, ma in termini tendenziali prosegue, per il ventiduesimo mese consecutivo, la lunga fase di contrazione dell’indice corretto per gli effetti di calendario, che diminuisce dell’1,5%. Un andamento che suscita la preoccupazione dei sindacati e accende le critiche delle opposizioni e che si affianca alle preoccupazioni registrate da Bankitalia secondo cui, nel quarto trimestre del 2024, il giudizio delle imprese sulla situazione complessiva dell’economia è tornata a calare.

Le incognite sulla crescita

Se i conti pubblici, anche grazie ai risparmi attesi sul fronte della spesa per interessi, viaggiano per ora in zona sicurezza, soprattutto per quel che riguarda il deficit che dal 3,8% atteso per il 2024 dovrebbe ridursi al 3,3% quest’anno e al 2,8% il prossimo (aprendo così la strada all’uscita dalla procedura di infrazione decretata a Bruxelles per disavanzo eccessivo), non altrettanto si può dire per quel che riguarda le prospettive di crescita. L’1,2% previsto dal Piano strutturale di bilancio pare al momento fuori dalla portata: più probabile che ci avvicini al risultato atteso per il 2024, vale a dire nei dintorni dello 0,7%. Occorre ora verificare in corso d’anno se la minore spesa per interessi riuscirà a compensare l’effetto sui conti pubblici della minore crescita. Stando ai calcoli effettuati dall’Ufficio parlamentare di Bilancio, grazie al calo dello spread e alla discesa dei tassi disposta dalla Bce il costo di finanziamento del debito dovrebbe ridursi di 17,1 miliardi nel quinquennio 2025-2029, con il costo medio all’emissione al 3,4%, rispetto al 3,76% del 2023. Circa 10,4 miliardi di risparmi su questo fronte sono attesi tra il 2025 e il 2026. Diversa la prospettiva per quel che riguarda il debito indicato in aumento al 136,9% nel 2025 e al 137,8% nel 2026. Sul trend di aumento del debito continua a pesare l’effetto del superbonus, pari a oltre 38 miliardi annui nel 2025-2026.. Poi si dovrebbe imboccare la lenta discesa, quando il debito dovrà essere ridotto di almeno un punto percentuale l’anno.

L’industria è ferma

Secondo i calcoli dell’Ufficio studi di Confindustria, prima del Covid, nel 2019, la quota di ricchezza generata dalla nostra industria era pari al 19,9% del Pil. Oggi siamo scesi al 18,1%. Dati e tendenze di cui occorre prendere atto, per provare a invertire la rotta. Una spinta potrà venire dalla riduzione dal 24 al 20% per un anno dell’Ires per le imprese che registrino un aumento dell’occupazione dell’1% e mantengano l’80% degli utili in azienda, di cui il 30% va reinvestito. Ma è chiaro che la vera partita la si gioca sul versante degli investimenti e delle riforme, con il PNRR ma anche con l’accelerazione nell’utilizzo di strumenti come gli incentivi di Industria 5.0, grazie alle modifiche inserite in legge di bilancio (per ora l’utilizzo è inferiore al 5%). La crescita finora è sostenuta dai servizi e dal turismo in particolare, ma è chiaro che senza una netta inversione di tendenza sul versante dell’industria il Pil resterà inchiodato a tassi dello “zero virgola”. Finora il contributo aggiuntivo del Pnrr alla crescita è stato minimo. E da Bruxelles la Commissione Ue sottolinea come «i finanziamenti del PNRR possono colmare le lacune» nelle politiche di bilancio dell’Italia, «ma i ritardi nella sua attuazione causano ulteriori rischi» per la crescita economica. L’industria risente della frenata dell’economia tedesca, e spicca la pesante caduta dell’auto, pari al 37,5%, con la produzione di vetture in calo del 42% nei primi undici mesi del 2024.

Il sostegno alle Pmi

Il via libera al primo disegno di legge annuale sulle Pmi dal 2011, che introduce misure strategiche per rafforzare le micro, piccole e medie imprese italiane, incentivando l’aggregazione, l’innovazione del sistema produttivo e l’accesso al credito è certamente un primo segnale. Tra gli interventi principali, i “mini contratti di sviluppo” per la moda, le centrali consortili per coordinare le filiere produttive e nuovi incentivi fiscali per le reti d’impresa. Vengono poi promossi il ricambio generazionale con assunzioni agevolate di giovani, la tutela della concorrenza con norme contro le false recensioni online e il riordino della disciplina dei Confidi per semplificare l’accesso al credito. La sfida è ora far virare in positivo le aspettative di famiglie e imprese, elemento decisivo per sostenere la crescita. Lo attestano le ultime rilevazioni della Banca d’Italia secondo cui, nel quarto trimestre del 2024, i giudizi sulla situazione economica generale del Paese sono nuovamente peggiorati. La percentuale delle imprese che hanno espresso valutazioni negative è salita al 30%, da 21% nell’indagine precedente, a fronte della sostanziale stabilità della quota di chi ha ravvisato un miglioramento (5% da 6%). La domanda si è indebolita, in particolare quella proveniente dall’estero e quella rivolta al comparto dei servizi, mentre le prospettive sulle proprie condizioni operative a breve termine sono considerate complessivamente sfavorevoli. E su questa percezione incidono l’incertezza economico-politica e, in misura più contenuta, i timori sull’andamento dei prezzi delle materie prime energetiche e, specialmente tra le imprese esportatrici, sulle politiche circa gli scambi commerciali internazionali. Più nel dettaglio le imprese prefigurano un’espansione degli investimenti nella prima metà del 2025, nonostante continuino a ritenere sfavorevoli le condizioni per investire. Le condizioni di accesso al credito sono valutate invariate e la posizione complessiva di liquidità è considerata ancora soddisfacente. La maggior parte delle imprese, circa il 70%, prevede di mantenere invariata la propria forza lavoro.

Fonte: Il Sole 24 Ore