Continua il trend negativo: l’incongita Trump e il rifugio nell’antico
L’arte bene rifugio contro guerre e inflazione? “È il nostro balsamo, l’antico poi costa ancora poco: opere bellissime che tutti i giorni mi distolgono dai brutti pensieri” così Marco Riccomini, esperto di arte antica, chiamato sin dalla prima ora al vetting della sesta edizione milanese, in corso fino a domenica 10 novembre, di AMART, negli spazi milanesi del Museo della Permanente. La mostra-mercato dell’antiquariato organizzata dall’Associazione Antiquari Milanesi e Promo.Ter di Confcommercio Milano conduce il pubblico in un suggestivo percorso dal contemporaneo all’antico. “Ci vuole uno sforzo culturale con l’antico che ripaga: alla fine per quanto sembri paradossale guardare indietro ti permette di vivere meglio l’oggi, con più lucidità e chiarezza”. L’oggi di Donald Trump: l’America è il primo mercato dell’arte internazionale e della fascia più alto dei prezzi con una quota del 42% su 65 miliardi di dollari, seguita dalla Cina e Hong Kong con 19% (Global Art Market Report 2024, ArtBasel Ubs).
Siamo in un mercato in cui prosegue il rallentamento in continuità con il 2023: i ricavi delle aste serali in ottobre si sono contratti per i tre principali competitor (Christie’s, Sotheby’s e Phillips) su base annua a 377 milioni di dollari a Londra con un -9% e Parigi con un profondo -16% e l’indice globale dell’arte (in asta) di Artprice per la prima volta in 25 anni è sceso di tre punti al di sotto del livello del 1998. Le prossime aste serale di New York misureranno la vivacità degli scambi negli Stati Uniti, il mercato con le performance più forti degli ultimi 20 anni e che ha guidato la ripresa delle vendite post Covid e dopo la crisi finanziaria del 2009. Questo mercato dal 2013 in dieci anni è cresciuto di quasi un terzo in valore, alimentato dall’import di arte e antiquariato, il cui valore è più che raddoppiato dal 2020 (5,2 miliardi $) a 10,3 miliardi $ nel 2022 con una crescita più contenuta nel 2023 (+1% a 10,4 miliardi $, ma -12% dal 2019).
La paura dei dazi
Il nuovo presidente americano imporrà nuovi dazi anche sull’arte frenando la lenta ripresa? Gli osservatori temono le conseguenze delle politiche fiscali e commerciali su arte e cultura. Dall’ottobre 2019, l’amministrazione Trump ha imposto dazi del 25% sull’import da Regno Unito e Germania su stampe, comprese litografie su carta o cartone, disegni e fotografie stampate negli ultimi 20 anni. Sono stati tassati molti prodotti provenienti dalla Cina, indipendentemente da età o origine, includendo sia l’arte cinese contemporanea sia le porcellane imperiali Ming e tutte le opere che, pur trovandosi in collezioni europee da oltre cento anni, risultavano in origine prodotte in Cina. I dazi inizialmente fissati al 25% sono stati però ridotti al 7,5% e mantenuti dall’amministrazione Biden, con un impatto significativo su alcuni settori del mercato, con l’effetto di un calo di compravendite ed esposizioni di arte contemporanea cinese negli Usa e viceversa.
In questa campagna elettorale Trump nelle promesse ha ventilato l’ipotesi di imporre tariffe del 10% o più su tutti i beni importati negli Stati Uniti, sostenendo che ciò eliminerà i deficit commerciali. Queste tariffe potrebbero includere una tassa fino al 60% su tutti i prodotti provenienti dalla Cina e colpire il mercato dell’arte, con una naturale reazione cinese. Ma la natura imprevedibile del nuovo presidente rende difficile dire come le sue azioni influenzeranno l’industria dell’arte, il cui mercato registra una riduzione della spesa da parte dei ricchi collezionisti che allocano nell’arte il 15% dei loro portafogli, secondo l’ultimo report ArtBasel Ubs sugli HNWS. Oggi i tempi di compravendita sono più lunghi, c’è spazio per le opere di qualità altissima e provenienza nota e prestigiosa.
“Ma non c’è solo il timore dei dazi sulle opere – spiga Franco Dante, commercialista esperto di fiscalità dell’arte, – un rischio da non sottovalutare sarà la chiusura dei confini americani anche per gli artisti. Sarà più difficile l’ingresso negli Usa anche per gli italiani. Il protezionismo danneggia il sistema dell’arte. E poi la sensazione d’incertezza regna in Europa e sull’ombrello protettivo della Nato. I timori di una pace ingiusta tra Ucraina e Russia e del ridursi dell’impegno militare americano toglierà serenità anche all’investimento in arte. I dazi penalizzano movimenti di denaro e le economie interne europee soffriranno a causa di un export ridotto. Ci saranno meno soldi per l’arte, per noi sarà più difficile esportare la nostra arte e sarà più difficile per i collezionisti europei investire”.
Fonte: Il Sole 24 Ore