Corte Ue boccia 10 anni residenza per reddito cittadinanza ma l’ultima parola spetta alla Consulta
La Corte di giustizia Ue riapre il dossier del reddito di cittadinanza, chiuso faticosamente dal Governo Meloni il 31 dicembre scorso dopo quasi quattro anni di attività prima di essere ora sostituito dal reddito di inclusione. I giudici del Lussemburgo hanno bollato come illegittimo il requisito dei dieci anni di residenza in Italia, gli ultimi due dei quali continuativi, indispensabili per ottenere il sostegno. Per questa via, sostiene la Corte di giustizia, si mette in campo una “discriminazione indiretta” a danno degli stranieri, ipotesi non consentita dalla direttiva 2003/109 (articolo 11, paragrafo 1, lettera d).
La decisione dei giudici comunitari potenzialmente riapre la strada alle richieste di vedersi riconosciuto reddito o pensione di cittadinanza che fin qui erano state respinte proprio per l’assenza del requisito della residenza decennale. Sono 106mila, secondo il censimento dell’Inps, ma la revisione dei parametri potrebbe almeno in teoria far presentare la domanda anche a chi fin qui non l’ha fatto.
La partita, però, non è ancora definita. Perché l’ultima parola spetta alla Corte costituzionale italiana, dove è pendente la questione di legittimità del requisito della cittadinanza. Su un punto simile, in realtà, i giudici della Consulta si erano già espressi nel 2022, con la sentenza 19 in cui avevano esaminato il parametro del lungo soggiorno. In quell’occasione, anzi, la Corte costituzionale aveva sottolineato che il reddito “non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo, ma persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale”.
La Corte di giustizia ha invece accolto la definizione portata dal Tribunale di Napoli, che ha sollevato la questione vedendo nel reddito di cittadinanza una misura “essenziale” di “protezione sociale”. Sulla legittimità dei requisiti, e quindi anche sul rischio di possibili risarcimenti, l’ultima parola spetterà quindi alla Corte costituzionale italiana.
Fonte: Il Sole 24 Ore