Corte Ue sui prezzi alberghieri, la parità imposta danneggia la concorrenza

Prezzi delle strutture ricettive, alberghi in primis, al vaglio della Corte Ue che, su richiesta di Booking, si è soffermata sulla validità delle clausole di parità, ampia o ristretta (parity rate). La clausola obbliga in estrema sintesi le strutture ricettive a mantenere lo stesso prezzo delle camere su tutte le piattaforme di distribuzione. Questo requisito era fondamentale per le strutture ricettive che desideravano essere presenti sui portali di prenotazione online, come Booking e altre Ota (Online trael agency), che però percepiscono – questo è chiaro – commissioni percentualmente diverse. La clausola è ampia quando riguarda tutte le piattaforme compreso il sito della struttura stessa, è ristretta quando impedisce di applicare un prezzo inferiore solo sul sito della struttura.

Il rischio di espulsione delle piccole piattaforme

Per la Corte queste clausole non possono, in linea di principio, essere qualificate come «restrizioni accessorie» ai fini del diritto della concorrenza dell’Unione. Anzi, la parità ampia comporta rischi di espulsione delle piccole piattaforme e delle nuove piattaforme dal mercato. L’esito della sentenza della Corte Ue nella causa C 264/23 rigetta quindi la richiesta di Booking che però, aveva già provveduto a disapplicarle.

Dal primo luglio Booking aveva già abolito il parity rate

Lo ha fatto di recente, a partire dal 1° luglio 2024, per adeguarsi al Digital Markets Act dell’Unione europea che regolamenta le grandi piattaforme online che controllano l’accesso ai mercati digitali. La novità ha riguadrato l’Europa, ma l’Italia era stata pioniera di questa rivoluzione tariffaria: la clausola di parità non esiste a partire dal 2017, quando, su sollecitazione degli albergatori, è stato abolita nel Ddl Concorrenza.

Nella sua sentenza, la Corte Ue sottolinea anche un altro aspetto importante: la fornitura di servizi di prenotazione alberghiera online da parte di piattaforme come Booking.com ha prodotto un effetto neutro se non addirittura positivo, sulla concorrenza. I servizi dei portali consentono, da un lato, ai consumatori, di accedere ad un’ampia gamma di offerte di alloggio e di confrontarle offerte in modo semplice e rapido e, dall’altro, danno la possibilità ai prestatori di servizi alberghieri, di acquisire una maggiore visibilità.

Cosa cambia in concreto per i viaggiatori

Le piattaforme dunque non possono usare più la dicitura «miglior tariffa garantita». In Italia è così da 7 anni e le prenotazioni su piattaforma non sembrano averne risentito, però il rischio è chiaro: se il viaggiatore sa che quella del sito consultato non è la tariffa più conveniente potrebbe provare a contattare direttamente l’hotel o la struttura ricettiva.

Fonte: Il Sole 24 Ore