Cosa sono gli extraprofitti e cosa vuole fare la maggioranza nella manovra

Azzurri nettamente contrari

Netta chiusura è invece espressa da Forza Italia. Di tassa o prelievi sugli extraprofitti gli azzurri non ne vogliono nemmeno sentir parlare. «Siamo contrari a qualsiasi tassa sugli extraprofitti» ha sottolineato il leader Antonio Tajani «A parte che bisogna capire che cosa è un extra profitto – ha aggiunto Tajani – , in un Paese democratico e liberale non si può porre un limite ai guadagni di un’impresa. Cioè lo Stato non è che decide quando una cosa è un profitto e quando è un extra profitto. Detto questo, bisogna evitare che ci siano imposizioni dall’alto. Sono preoccupato soprattutto per le banche di prossimità, perché una tassa sui profitti rischia di colpire al cuore le banche popolari e le banche di credito cooperativo. Questo noi non lo permetteremo mai, non porteremo mai in Consiglio dei ministri una posizione del genere». Forza Italia ha proposto di aprire un confronto con le banche alla ricerca di soluzioni condivise.

L’ipotesi di una stretta sugli extraprofitti

La mossa sugli extraprofitti costituisce ancora una volta il tentativo di far contribuire allo sforzo chi più in questi anni ha generato profitti: in primis le banche, ma anche il mondo delle assicurazioni e il settore energetico. Possibilmente senza ripetere gli errori dello scorso anno e percorrendo la strada del dialogo con i soggetti coinvolti.

Secondo i sindacati, solo nei primi sei mesi del 2024 le banche avrebbero generato utili già per oltre 12 miliardi di euro. Uno studio di Unimpresa quantifica in 8,1 miliardi le tasse pagate dalle banche nel 2023 su 40,6 miliardi di utili, con un tax rate (il rapporto tra tasse versate nelle casse dello Stato e profitti) pari al 20,1%. Una percentuale, si sottolinea, «nettamente inferiore» alla media italiana per aziende e lavoratori stabilmente superiore al 42%.

L’ultima ipotesi allo studio, secondo le indiscrezioni, sarebbe quella di un “prelievo solidale” dell’1-2% sugli utili degli ultimi 12-24 mesi, per contribuire al finanziamento di misure come il taglio del cuneo fiscale, gli sgravi Irpef o il Bonus tredicesima. Un contributo di solidarietà una tantum e “da costruire insieme” alle aziende interessate. Per questo, dopo il fallito blitz del governo che lo scorso anno ha fatto infuriare le banche, questa volta sarebbero stati avviati fin dall’inizio dell’estate contatti informali con il mondo del credito. Questo per valutare insieme il da farsi senza rischiare uno scontro. Mercoledì 25, lo stesso giorno della riunione del Consigli dei ministri, ci sarà una riunione dell’esecutivo dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana, che dovrebbe affrontare la questione.

La posizione delle banche

All’Abi, l’Associazione bancaria italiana, al momento le bocche restano cucite, la linea resta sempre quella di non commentare le indiscrezioni. Ma se da parte dei banchieri c’è disponibilità al dialogo, non è certo un segreto la contrarietà non solo verso ogni forma di tassazione, ma anche verso un qualsivoglia prelievo o contributo. L’associazione ha più volte sottolineato come sul reddito prodotto dalle banche si sommano varie e maggiori imposte rispetto alle imprese degli altri settori economici: l’Ires al 24%, l’addizionale Ires per le banche al 3,5%, l’Irap al 5,45% e la cedolare secca sui dividendi al 26%. Insomma, niente a che vedere con quello che versano i settori non finanziari.

Fonte: Il Sole 24 Ore