Così il Chianti Classico resiste al calo del consumo dei vini rossi

Così il Chianti Classico resiste al calo del consumo dei vini rossi

I dati ufficiali verranno presentati dal Consorzio in occasione di Collection 2025, in calendario a metà febbraio alla Leopolda di Firenze, quando saranno svelati anche i nuovi vini delle singole cantine. Ma dalle prime indicazioni emerge che il Chianti Classico nel 2024 abbia retto meglio della media l’onda d’urto delle difficoltà registrate sul mercato dei vini rossi e più in generale di una congiuntura generale non certo favorevole.

Una conferma arriva da Tommaso Marrocchesi Marzi, quinta generazione della famiglia alla guida di Tenuta di Bibbiano e membro del Consiglio di amministrazione del Consorzio distinto dal celebre Gallo Nero. «La produzione 2024 dovrebbe assestarsi sui 300mila ettolitri, recuperando e colmando il buco produttivo che si era riscontrato nel 2023 quando soprattutto a causa della peronospora, che, seppur a macchia di leopardo, ha colpito duramente. La vendemmia 2024 – dice il titolare della cantina di Castellina in Chianti, nel cuore storico della donominaizone – si è contraddistinta invece per una resa anche qualitativamente superiore alla media. L’annata è stata splendida pressoché per tutti i viticoltori, nonostante qualche difficoltà dovuta alla piogge durante il periodo di raccolta, che però in genere è stata superata brillantemente».

Anche le vendite del 2024 dovrebbero risultare in linea con quelle registrate negli ultimi anni, tra i 35 e i 38 milioni di bottiglie. «In attesa dei dati definitivi si può comunque già affermare che il Chianti Classico sta dimostrando un’ottima capacità di rispondere alle difficoltà del mercato globale del rossi – continua Marrocchesi Marzi -. Siamo una denominazione che rimane appetibile in maniera universale. Non è solo un motivo legato alla nostra storia, con il Consorzio che ha festeggiato i suoi primi cento anni e il vino che può vantare una tradizione di trecento: la riconoscibilità è importante ma da sola non basta e i risultati sono il frutto di un lavoro fatto su più fronti dai produttori e dal consorzio, dal lato marketing ma non solo. In primo luogo abbiamo la possibilità di poter disporre di un offerta flessibile in più categorie con i vini di annata affiancati dalle riserva e dalle Gran Selezione, che si possono ora declinare anche su zone di produzione più specifiche (le Uga, unità geografiche aggiuntive, ndr). A questo si aggiunge un sempre maggiore lavoro delle cantine in grado di offrire dei vini legati a singole vigne. Nel nostro caso ad esempio Vigne di Montornello, al plurale, e Vigna del Capannino, che danno origine a due differenti interpretazioni di Chianti Classico Gran Selezione. Nelle annate migliori sono prodotti in 15 mila bottiglie e sono stati introdotti in azienda nella seconda metà degli anni ’80, grazie a un’intuizione di mio padre e di Giulio Gambelli (storico maestro del vino, “inventore” di molti importanti etichette toscane, ndr)». La Tenuta Bibbiano si estende su 220 ettari di cui 40 di vigne che producono un media di 160mila bottiglie.

Una flessibilità in grado di fronteggiare anche la frenata del mercato Usa? «Innanzi tutto va premesso che anche quest’anno gli Stati Uniti hanno continuato ad avere un ruolo importante nonostante le difficoltà legate ad alti tassi di interesse , inflazione e una situazione internazionale tutt’altro che rosea. Tuttavia siamo riusciti a fronteggiare le difficoltà con la flessibilità di offerta a cui accennavo e al buon andamento su altri mercati, come ad esempio è stato per il Canada e quello migliore delle attese per il Regno Unito che potrebbe significare aver superato l’effetto Brexit. Anche il Giappone era partito bene e poi ha frenato. Nel caso della nostra azienda, che in generale ha visto un 2024 anche migliore della buona media del Chianti Classico, la somma di risultati positivi in mercati minori ha portato a compensare abbastanza il calo altrove, penso a Filippine, Thailandia, Indonesia in Asia e alcuni paesi del Sud America».

Incombe comunque il rischio dei dazi “promessi” da Trump con gli Usa che pensano tra il 30 e il 40% delle esportazioni. «Per Bibbiano Usa e Giappone insieme valgono rispettivamente circa 600mila e 400mila euro, più della metà del fatturato – dice Marrocchesi – ma personalmente resto convinto che i dazi non si debbano dare per scontati così come annunciati. Anche Trump dovrà tener presente che per ogni dollaro che arriva in Italia grazie all’export, negli Usa se ne generano altri cinque grazie per la filiera interna, tra distribuzione, horeca eccetera. E non è detto che il rapporto resti inalterato se entrano in gioco i dazi. Staremo a vedere quello che succede ma comunque le aziende del nostro territorio sono solide e con solidi asset patrimoniali: hanno le carte in regola per resistere e trovare le giuste vie d’uscita».

Fonte: Il Sole 24 Ore