Così la lotta di Trump al Deep State minaccia la sicurezza Usa

Così la lotta di Trump al Deep State minaccia la sicurezza Usa

Il presidente americano entrante, Donald Trump, sferza i rivali politici: tratta quanto avvenuto a New Orleans e Las Vegas quale prova di fallita leadership sotto i democratici. Ma lo spettro che emerge, davanti alle conferme dell’ispirazione di Isis almeno nella strage in Louisiana, è però un altro e riguarda il futuro: un rinnovato e complesso ciclo di terrore nutrito dai conflitti internazionali, dal Medio Oriente all’Asia centrale.

Ad accogliere Trump alla Casa Bianca potrebbe essere un’era di incognite che mette rapidamente alla prova il suo governo. Il ricorso a strumenti di sicurezza nazionale, diplomazia e cooperazione con gli alleati di un Commander in Chief che, assieme al super-consigliere Elon Musk, ha promesso di far grande l’America anzitutto smantellando o rivoluzionando ciò che condanna come il Deep State, lo Stato profondo, a cominciare da dicasteri e agenzie in prima fila nella lotta al terrorismo quali Fbi e Ministero della Giustizia. Trump ha un passato di tensioni anche con i vertici del Pentagono.

L’allarme è che la missione di Trump crei gravi vuoti di esperienza e competenza. Il veterano direttore dell’Fbi, Christopher Wray, è già tra le prime vittime delle “purghe”: sarà sostituito dal fedelissimo Kash Patel, sacrificando l’indipendenza dell’agenzia. Preoccupazioni etiche e per scarse qualifiche destano anche i candidati alla Difesa, l’anchorman di Fox Pete Hegseth, e a consigliere di Sicurezza nazionale, l’ex deputata Tulsi Gabbard.

I vuoti si aprirebbero in un momento delicato per l’intelligence: avverte da tempo che quanto avviene dal Libano a Gaza può lambire le coste statunitensi. Può incoraggiare la radicalizzazione di individui isolati e fragili o di piccoli gruppi, in un Paese con facile accesso ad arsenali. Preoccupazione particolare desta lo Stato Islamico, l’affiliata afghana Isis-K già autrice di attentati in Russia e Iran, come la sua rinascita in Iraq, Siria e Africa. Non a caso, caduto Assad, il Pentagono ha subito colpito 75 obiettivi di Isis in Siria. Era stato proprio il dimissionario Wray ad ammonire fin da primavera come «il continuo conflitto in Medio Oriente aumenti a livelli interamente nuovi il pericolo di attacchi negli Usa», che traggano «contorta ispirazione» dagli eventi.

Fonte: Il Sole 24 Ore