Così si conquistò la Liberazione

Così si conquistò la Liberazione

La complessità della Resistenza è stata affrontata negli anni attraverso ricerche, monografie, studi che hanno aperto polemiche, altri che hanno colmato lacune (senza contare la dimensione narrativa, di cui nella pagina accanto Gabriele Pedullà fornisce un contributo per quel che riguarda l’Europa: si aggiunge all’antologia di racconti della Resistenza italiana da lui ideata nel 2005).Il libro curato da Filippo Focardi e Santo Peli racchiude i tanti aspetti che caratterizzarono la lotta partigiana, dunque è intelligente nella proposta e utile nel respiro. Si compone di sedici saggi che esplorano, in maniera agile e puntuale (con brevi riferimenti bibliografici alla fine di ciascun capitolo, integrati da un apparato di note), l’esperienza resistenziale: dai protagonisti della lotta armata ai loro nemici, dall’apporto del Sud a quello delle donne, dalla questione etica della guerra partigiana alla narrazione che ne è seguita e alla storiografia. Senza trascurare la Resistenza all’estero, l’approccio nei manuali scolastici, le implicazioni post 1989.

Una disamina estesa nella quale chi legge trova gli strumenti per approfondire quello che più gli interessa, con i curatori che nell’introduzione rimarcano l’intento dell’opera: sottrarre il discorso sulla Resistenza all’edulcorazione che ne è stata trasmessa insistendo sugli «aspetti unitari, nazional-patriottici», per ricondurlo invece alla «difficoltà e drammaticità» di una minoranza che si è armata, spesso non avendo mai preso un’arma in mano, e ha vissuto mesi cruenti, in una guerriglia con poche certezze e molti contrasti. Strutturare le spinte alla ribellione, ricorda nel suo saggio Luca Baldissara, non fu semplice, il salto di qualità dalle bande a un esercito (il Corpo volontari della libertà) coordinato da un comando si compie solo nel giugno del ’44, un’estate nel corso della quale la lotta cambia marcia. Le quattro giornate di Napoli, a quell’altezza, sono lontane, e così anche le rivolte di altre città del Sud contro l’occupante tedesco. A complicare la risalita degli Alleati, lenta e sanguinosa, sopraggiunge l’inverno, nemico non meno temibile, mentre si susseguono i rastrellamenti e la violenza selvaggia a ridosso della linea gotica. Tuttavia il punto di non ritorno è segnato, le direttive emanate dal Pci prima nel gennaio del ’45, poi il successivo 10 aprile preludono all’assalto definitivo.Saranno quasi 25mila le vittime civili dei nazifascisti, osserva Amedeo Osti Guerrazzi chiudendo il capitolo riservato a tedeschi e repubblichini, «senza contare gli internati militari morti nei Lager, i quasi 8mila ebrei, i partigiani e le partigiane uccisi in combattimento, i soldati del “Regno del Sud” caduti al fronte, le decine di migliaia di deportati per il lavoro forzato in Germania». Tra queste vittime ci sono ad esempio Caterina Martinelli, uccisa da una mitragliata nell’assalto ai forni, a Roma, nel maggio ’44, o Rita Rosani, partigiana triestina ammazzata con un colpo in testa da un fascista, o Norma Parenti, combattente seviziata e fucilata a Massa Marittima. Delle donne attive nella Resistenza si parla sempre più, si moltiplicano le singole biografie che restituiscono visibilità e merito alla loro battaglia e al loro sacrificio.Una partecipazione e un ruolo acclarati dalla storiografia, scrive Maria Teresa Sega nel dare spazio a momenti e protagoniste nell’esercito di Liberazione: «Staffette? Combattenti? Spesso entrambe le cose e molto altro: portaordini, collegatrici, portatrici, informatrici, sabotatrici, propagandiste, infermiere, vivandiere». La necessità di organizzarne la mobilitazione coincise, nel novembre ’43, con la nascita dei Gruppi di difesa della donna ad opera di rappresentanti dei partiti del Cln: un organismo territorialmente capillare unitario (che non sopravviverà in questi termini alla guerra: l’Udi raccoglierà le militanti di sinistra, il Cif le cattoliche). Anche per le donne il salto di qualità arriva nel luglio ’44, quando il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (Clnai) riconosce i Gruppi: nascono così le Volontarie della libertà, con l’addestramento all’uso delle armi in previsione dell’insurrezione. Non saranno poche le partigiane che andranno in montagna (basti pensare ad Ada Gobetti e al suo Diario partigiano, 1956) o con ruoli di primo piano in città (come quello di Teresa Mattei, la più giovane delle future Costituenti, a capo della brigata intitolata al fratello Gianfranco, a Firenze). Come è messo bene in luce nel saggio, patiscono il maschilismo dei partigiani e all’interno degli stessi partiti politici, ma lo respingono con forza e la consapevolezza di una subordinazione che non possono più accettare le induce a scrivere, già nell’atto di nascita dei Gdd, che «la donna non deve più essere trattata come un semplice oggetto. Ha una sua personalità, dà il suo contributo in ogni campo della vita sociale; deve avere diritto e deve sentire il dovere di intervenire nella costruzione del mondo». Nel dopoguerra questa convinzione si spegnerà, anestetizzata dal rientro nei ranghi della famiglia e della casa: bisognerà aspettare gli anni 70 e il femminismo per recuperare l’esperienza delle partigiane e scendere in piazza per i diritti. Non è un caso che Compagne, la raccolta di interviste di Bianca Guidetti Serra – staffetta nella Resistenza torinese e avvocata – sia uscito nel 1977 (ora appena ripubblicato da Einaudi): le testimonianze di quelle cinquanta donne della Resistenza torinese – quasi tutte di umili origini, tenaci e coraggiose – erano un esempio e un raccordo ideale tra passato e presente. La loro esperienza ci parla ancora.

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Filippo Focardi e Santo Peli

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Fonte: Il Sole 24 Ore