Costruzioni, mercato italiano in crescita fino al 2030

Costruzioni, mercato italiano in crescita fino al 2030

L’onda lunga mossa dal Pnrr ha un orizzonte temporale che arriva al 2030: nei prossimi sei anni l’industria italiana delle costruzioni è destinata a crescere a ritmi persino superiori rispetto alla media Ue, con una importante novità rispetto al passato, ovvero che tale crescita avverrà in buona parte sul mercato domestico, tradizionalmente stagnante, a cui si aggiungerà comunque la forte domanda proveniente dall’estero, con un mercato globale delle costruzioni previsto in aumento del 4,5% entro il 2030 e del 5,5% per quanto riguarda le sole infrastrutture.

Le stime arrivano da un’analisi di Bain&Company sulle sfide e le opportunità che attendono le aziende italiane del settore. «Siamo di fronte a un momento storico particolarmente positivo e per certi versi senza precedenti – spiega Marta de Battisti, associate partner di Bain&Company -. Prima della pandemia, le imprese italiane avevano un mercato domestico molto piccolo e debole, peraltro gravato da ostacoli burocratici, tempi lunghi nell’avvio dei cantieri e ritardi nei pagamento. Questo determinava un impatto negativo su profittabilità e financing, tanto che per svilupparsi dovevano necessariamente aprirsi ai mercati esteri».

Il nuovo scenario post pandemia

Con il Covid, e in particolare con i fondi stanziati dal Pnrr, lo scenario è completamente mutato e molti cantieri sono partiti anche nel nostro Paese, peraltro con standard di pagamento e condizioni finanziarie adeguate al resto d’Europa: «Se nel periodo 2015-2019 l’incidenza del mercato domestico sul totale dei ricavi delle aziende italiane era del 14%, nel 2023 tale percentuale ha raggiunto il 35%, portandosi ai livelli degli altri principali competitori europei, come Francia e Germania», dice Paolo Cerini, partner di Bain&Company. Il mercato interno è diventato addirittura il motore della crescita, soprattutto grazie agli investimenti in infrastrutture e dunque in grandi opere pubbliche. Anche sulle prospettive future nel medio periodo lo studio Bain è ottimista: la spesa totale reale per le infrastrutture nei Paesi europei è prevista in aumento al 3,5% annuo nel periodo 2022-2026, con l’Italia che mostra la crescita più significativa (5,2%), raddoppiando quasi la media europea.

Un dato solo apparentemente in contraddizione con quello rilevato dall’Anac (e pubblicato sul Sole 24 Ore del 6 luglio scorso), secondo cui, a un anno dall’entrata in vigore del nuovo Codice degli appalti (1 luglio 2022-30 giugno 2023), il numero dei bandi è crollato del 49%, mentre il valore è sceso del 32%. Osserva Cerini: «I grandi progetti hanno cicli pluriennali, quindi c’è una marcata asincronia tra il momento in cui viene concluso l’ordine e la messa a terra dei lavori». I bandi per i grandi cantieri finanziati dal Pnrr, che prevedono la chiusura entro il 2026, sono stati dunque aggiudicati soprattutto negli anni scorsi e si tradurranno in lavori, assunzioni e ricavi nei prossimi 5-6 anni.

Dopo il 2030: la sfida dell’innovazione

Il punto, semmai, è capire che cosa avverrà dopo: «Sul periodo successivo al 2030 c’è maggiore incertezza», spiega Cerini. Di certo questa crescita annua del 5% non sarà mantenuta – prevede Marta de Battisti -. Il mercato sarà più stabile in Italia: alcune stime parlano di una situazione “flat” dal 2026 al 2030, quindi lo scenario cambierà di nuovo sul mercato italiano, che inevitabilmente rallenterà». Oggi, invece, le aziende italiane hanno due evidenti vantaggi dalla situazione che si è creata: hanno a disposizione investimenti importanti e ancora in crescita, inoltre, «possono pianificare le attività sul mercato domestico perché hanno una visibilità a medio termine sulle opere – aggiunge de Battisti -. In passato c’era una forte ricerca di volumi e quindi si cercava di prendere fuori dall’Italia gli appalti per sopperire a un mercato domestico latitante, ora c’è una grande opportunità per le imprese, che possono fare selezione e scegliere i progetti migliori in termini anche di redditività».

Fonte: Il Sole 24 Ore