Crisi climatica, il paradosso delle perdite di metano

Crisi climatica, il paradosso delle perdite di metano

Il mondo è pieno di fughe di gas. Le più massicce provengono dai pozzi di estrazione di petrolio e di metano, dai siti di stoccaggio e dai gasdotti che lo trasportano. Identificare e bloccare queste perdite potrebbe fare di più per contenere l’emergenza climatica rispetto a ogni altra singola misura che prenderemo nei prossimi anni, visto che il metano è un gas serra 80 volte più potente della CO2, ma si decompone in tempi più rapidi e quindi gli effetti di un taglio di queste emissioni si potrebbero percepire già nel giro di una generazione. In base all’ultimo rapporto dell’Ipcc, il metano di origine antropica è responsabile di un quarto dell’aumento delle temperature dall’epoca pre-industriale ad oggi. Non solo: l’Ipcc sostiene che basterebbe dimezzare le emissioni di metano causate dall’uomo per evitare un terzo del surriscaldamento previsto nei prossimi decenni.

A Baku il tema è uscito dall’odg della Cop29

Il metano è stato al centro della Cop26 di Glasgow, dove il presidente Usa Joe Biden e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen lanciarono nel 2021 il Global Methane Pledge, un’iniziativa sostenuta da oltre 150 paesi, che mira a ridurre le emissioni globali di metano del 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020. Ma per adesso si muove poco. «Le riduzioni di metano sono il modo più rapido che abbiamo per evitare gli effetti peggiori del cambiamento climatico e il settore con il più alto potenziale di riduzione è l’industria degli idrocarburi», afferma Manfredi Caltagirone, responsabile dell’Osservatorio sulle emissioni di metano presso l’Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. Anche alla Cop29 di Baku si è parlato di metano, ma l’Azerbaigian, che ricava il 90% delle sue entrate dall’export di combustibili fossili, in quanto Paese ospitante ha eliminato dall’ordine del giorno le emissioni di metano delle compagnie petrolifere, per concentrare il dibattito su quelle derivate dai rifiuti organici.

Le prime immagini da Methanesat

Il problema è stato a lungo oscurato dalla mancanza di strumenti per rilevare le emissioni di metano. Inodore e incolore, il gas è notoriamente difficile da tracciare e fino a poco tempo fa le indagini si concentravano principalmente a terra, con dispositivi portatili. Ora invece le tecnologie di tracciamento dall’alto sono migliorate e c’è una corsa a lanciare nuovi satelliti ad hoc, in parallelo con l’introduzione di nuovi limiti. Quest’anno l’Ue ha adottato ampie normative sul metano, che richiedono alle compagnie petrolifere di monitorare, rilevare e riparare le perdite. A Baku, durante la Cop29, l’Environmental Defense Fund ha diffuso le prime immagini acquisite da MethaneSat, il primo satellite lanciato da una Ong per monitorare e misurare le emissioni di metano del settore Oil & Gas in tutto il mondo. A otto mesi dal suo lancio in marzo, la missione di MethaneSat comincia a dare i suoi frutti e dalle misurazioni preliminari emerge che le emissioni di metano nei principali bacini produttivi di idrocarburi negli Stati Uniti, in Venezuela e nella zona del Mar Caspio (tra le regioni di maggiore esportazione verso l’Unione europea e l’Italia) sono superiori dalle 3 alle 10 volte rispetto alle stime e ai dati ufficiali.

Gli effetti dello scarico in atmosfera

«Stiamo appena iniziando a sollevare il sipario sulle emissioni di metano a livello globale», ha commentato Riley Duren, amministratore delegato di Carbon Mapper, un’altra Ong che ha lanciato il satellite Tanager-1 in agosto, rilevando consistenti perdite da impianti estrattivi, dalla Libia al Texas.

Da uno studio pubblicato a settembre sulla rivista Earth System Science Data si evince che negli ultimi due decenni le emissioni antropiche di metano sono aumentate del 20 per cento. Dopo l’agricoltura, il settore energetico ne è la causa principale ed è responsabile di un terzo di tutte le emissioni di metano legate all’attività umana. Il metano viene scaricato direttamente in atmosfera dai giacimenti di idrocarburi o bruciato con il “flaring” per motivi di sicurezza o semplicemente perché la trivellazione puntava a estrarre petrolio, non gas. Molto fuoriesce a causa di perdite nelle tubazioni e nelle attrezzature di stoccaggio, che per le aziende sarebbe troppo costoso individuare e tappare. Mark Davis, numero uno dello specialista Capterio, sostiene che quasi il 7% del metano estratto viene sprecato attraverso le attività di sfiato, combustione e perdite. Se catturasse questo gas e poi lo vendesse, il settore potrebbe tagliare 6,8 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente all’anno dalle sue emissioni, equivalenti alle emissioni annuali di gas serra degli Usa, e realizzare circa 50 miliardi di dollari di fatturato all’anno in più.

Fonte: Il Sole 24 Ore