Crisi d’impresa, la chiamata all’azione per un sistema Ue della ripartenza

Crisi d’impresa, la chiamata all’azione per un sistema Ue della ripartenza

Cadere e rialzarsi, fallire e rinascere. Chi fa impresa sa cosa vuol dire giocare e rischiare. A volte tutto. Ma affrontare le conseguenze di un fallimento, lo stigma e le difficoltà legate alle liquidazioni giudiziali può significare attraversare un tunnel fatto di dolore, solitudine e sensi di colpa. Succede ogni anno in Italia a circa 100mila imprese. Pensando a loro l’associazione “100mila Ripartenze” dal Senato lancia oggi una call to action, indirizzata in primo luogo alle istituzioni. Perché si migliori ancora il Codice della crisi d’impresa facendo tesoro delle esperienze più virtuose, come quelle di Francia e Belgio, e unificando gli sforzi a livello europeo, con l’istituzione di una Giornata europea della ripartenza e la previsione di budget ad hoc nei bilanci comunitari.

Ogni anno in Italia chiudono 100mila imprese

Dopo il picco di chiusure del 2020, con 390mila imprese scomparse a fronte di solo 85mila nuove aperture, e la ripresa post-Covid, dal 2023 si è registrato un nuovo boom di fallimenti. E i timori per il 2025 sono elevati, soprattutto per le piccole e medie imprese. A pesare non sono soltanto le incertezze legate agli scenari geopolitici e ai nuovi equilibri sullo scacchiere mondiale, ma anche le trasformazioni dei processi produttivi legate a digitalizzazione e intelligenza artificiale. Fiorella Pallas, presidente e co-fondatrice con Gisella Geraci di “100mila Ripartenze” non si stanca di portare la sua testimonianza personale: prima manager di una multinazionale, poi imprenditrice che ha conosciuto il fallimento, infine coach per supportare gratuitamente chi ha vissuto esperienze simili.

Ricucire le ferite invisibili

«Il nostro metodo si basa sulla centralità della persona – spiega – perché prima di far ripartire un’impresa bisogna ricostruire fiducia, resilienza e consapevolezza. Ricucendo con cura le cicatrici invisibili del fallimento e preservando ciò che ci rende unici: talento, know-how e intelligenza creativa. Con il giusto aiuto, le cicatrici possono essere trasformate in punti di forza, arricchendo chi le porta con nuove competenze e resilienza». «Lavoriamo esclusivamente grazie al contributo di volontari, donatori e sponsor, e oggi contiamo quasi 200 persone impegnate in tutta Italia». continua Pallas. «Dal nostro inizio, abbiamo accompagnato gratuitamente circa 50 imprenditori e professionisti, con un tasso di ripartenza del 50%. Questo è un buon risultato, ma ancora lontano dal rispondere al fabbisogno nazionale».

Le esperienze di Francia e Belgio

“100mila Ripartenze” è nata nel 2019, ispirandosi alla francese “60.000 Rebonds”, attiva dal 2012. A raccontarne la storia è Bernard Gloppe, direttore dello sviluppo europeo dell’associazione, che nel solo 2024 ha sostenuto 1.300 imprenditori. Evidenti i benefici ottenuti Oltralpe con l’eliminazione di alcune valutazioni penalizzanti dagli indicatori bancari e con la creazione di strumenti di supporto come il portale della ripartenza, punto di contatto unico con le autorità pubbliche per gli imprenditori in difficoltà. Di grande interesse è anche l’esperienza della Fondazione Pulse Revival in Belgio, illustrata dal direttore dei programmi Sébastien Hamende. L’obiettivo dei belgi è ora estendere a tutti gli imprenditori il meccanismo del “fresh start” (attualmente a beneficio dei “solopreneurs”), che consente di ripartire senza il peso dei pregressi, e l’introduzione di uno sportello unico per centralizzare le pratiche burocratiche. In entrambi i casi a fare la differenza è stata comunque la massima sinergia tra governi, altre istituzioni, sistema bancario e terzo settore.

Le penalizzazioni per chi vuole ripartire

Di penalizzazioni, secondo “100mila Ripartenze”, la normativa italiana è ancora piena, nonostante i ripetuti interventi sul Codice della crisi d’impresa (a settembre è entrato in vigore il terzo decreto legislativo correttivo al Dlgs 14/2019). Secondo Geraci, a frenare le ripartenze c’è il divieto di ricoprire ruoli imprenditoriali, spesso per anni, ai soggetti coinvolti in una liquidazione giudiziale, così come la visibilità prolungata delle segnalazioni bancarie che ostacola l’accesso al credito anche a chi ha saldato ogni debito e vorrebbe soltanto ripartire. Alcune fragilità, poi, sono più pesanti di altre: nei confronti delle donne imprenditrici il pregiudizio legato al fallimento è più severo. A loro si attribuisce quasi automaticamente scarsa competenza, più che sfortuna o inesperienza.

Fonte: Il Sole 24 Ore