Crusca, ddl nomi femminili «improvvido»: ecco perché

Un disegno di legge «sicuramente improvvido», laddove vuole vietare per legge, negli atti pubblici, i nomi al femminile di alcune professioni. «Fa, pertanto, piacere che si arrivi al suo ritiro». La bocciatura al disegno di legge presentato dal senatore leghista Manfredi Potenti, oltre che dalle opposizioni, arriva anche dal professor Paolo D’Achille, presidente dell’Accademia della Crusca. La stessa Lega l’ha archiviata come una iniziativa personale del senatore Potenti e ha comunicato di aver fatto ritirare il disegno di legge.

Iniziative che riguardano la lingua italiana mai ideologiche

Il professor D’Achille ricorda che le iniziative in sede legislativa che riguardano la lingua italiana «non possono essere estemporanee: devono essere il più possibile condivise e mai ideologiche. Gli usi individuali o letterari della lingua non li norma nessuno. Bisogna, invece, essere cauti nelle innovazioni in sede legislativa perché le leggi hanno un forte impatto sociale e devono risultare comprensibili e chiare, inserendosi in una tradizione di scrittura che non può essere ignorata». Paolo D’Achille dice che «qualunque nome di genere maschile in italiano può essere volto al femminile e riferito a donne. Al contrario, ci sono nomi di genere femminile che non si possono volgere al maschile anche se sono riferiti a uomini».

La risposta ufficiale al Comitato di parità della Cassazione

E non è la prima volta che l’Accademia della Crusca sottolinea la possibilità di volgere al femminile nomi di genere maschile. L’unica risposta ufficiale sul tema dell’Accademia della Crusca è del 27 gennaio 2023 e riguarda un quesito posto all’Accademia dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione che chiedeva lumi «sull’individuazione di regole grammaticali e linguistiche finalizzate allo sviluppo di un linguaggio giuridico inclusivo». Nella risposta al quesito la Crusca fra i principi tradizionalmente invocati per stabilire le regole o raccomandazioni per un uso della lingua rispettoso della parità di genere ricorda di «usare il genere femminile per i titoli professionali che sono riferiti a donne».

Il femminile di professioni giuridiche e non

E chiede di «evitare l’articolo determinativo prima dei cognomi femminili, perché genera una asimmetria con quelli maschili». Ed elenca i femminili di tante professioni giuridiche e non: magistrata, prefetta, avvocata, architetta, medica, chirurga, marescialla, capitana, colonnella, la giudice, la sottufficiale, la tenente, la giudice istruttrice, la pilota, l’avvocata penalista o civilista. E, ancora, sì a cavaliera, cancelliera, brigadiera, poetessa, rettrice, ambasciatrice, procuratrice, uditrice giudiziaria, questora, dottoressa, assessora, difensora, estensora, revisora. Poi prosindaca, vicesindaca, sostituta procuratrice, prorettrice vicaria, pubblica ministera.

No all’asterisco al posto delle desinenze

La risposta precisa inoltre che va escluso «tassativamente» l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico («Car* amic*, tutt* quell* che riceveranno questo messaggio..»). No, quindi, all’asterisco che opacizza le desinenze maschili e femminili. Proprio il professor Paolo D’Achille nell’approfondimento “Un asterisco sul genere”, ricorda che «è verissimo, come diceva Nanni Moretti in un suo film che “le parole sono importanti” (ma lo sono anche la grafia, la fonetica, la morfologia, la sintassi) e denunciano spesso atteggiamenti sessisti o discriminatori, sia sul piano storico, sia sul piano individuale». E che è «senz’altro giusto, e anzi lodevole, quando parliamo o scriviamo, prestare attenzione alle scelte linguistiche relative al genere, evitando ogni forma di sessismo linguistico».

Fonte: Il Sole 24 Ore