Da aziende familiari 260 miliardi di ricavi
Un legame più stretto che sta lentamente crescendo nel tempo. È quello tra le imprese familiari e i fondi di private equity, come certifica l’ultimo studio condotto da Aifi, l’Università Liuc e il Fondo Italiano d’Investimento che verrà presentato oggi durante un evento dedicato. Bastano un paio di numeri per capire l’evoluzione positiva di una relazione un tempo vista quantomeno con sospetto. Le imprese familiari in Italia valgono 260 miliardi di euro di fatturato e hanno un peso dell’80% sul Pil nazionale. Bene dal 2014 al 2023 i fondi di private equity hanno investito nel Paese 91,3 miliardi di euro. Una cifra particolarmente rilevante e probabilmente frutto dell’interesse sempre più crescente mostrato dagli investitori verso le società familiari a sua volta accolto con maggior favore dagli imprenditori: se tra il 2013 e il 2017 venivano realizzate in media 73 operazioni l’anno tra il 2018 e il 2022 il dato è balzato a 184. Tanto che nell’intero arco temporale ne sono state portate a termine complessivamente 1.285 ma quasi la metà sono state concluse tra il 2020 e il 2022. Quanto ai target, poco più del 50% ha coinvolto imprese con un fatturato inferiore ai 20 milioni e il 26,2% aziende di prodotti industriali.
«Se in passato abbiamo visto una ritrosia delle aziende familiari ad aprire il proprio capitale al private capital, questo studio mostra una inversione di tendenza, con una crescita degli investimenti da parte di fondi di private equity», ha commentato Innocenzo Cipolletta, presidente, Aifi che rispetto alla tipologia di operazioni concluse ha messo in luce come si tratti sia di «cessione totale delle quote azionarie, sia di vendita di partecipazioni di minoranza» il che consente «alla famiglia di rimanere coinvolta nell’azionariato e nella governance della società». E anche questo è ben chiaro nei numeri. Circa l’86% delle operazioni sono di buyout ma in media nel 39% dei casi le famiglie restano coinvolte nel capitale e la percentuale è in netto incremento: nel 2013 il dato era del 19,6% ma nel 2022 ha superato il 50%, il che significa che in un caso su due tra private equity e famiglia si instaura un rapporto di collaborazione strategica. «L’impresa familiare è da sempre il pilastro dell’economia italiana – ha commentato Davide Bertone, amministratore delegato Fondo Italiano d’Investimento – Ha sempre vinto crescendo, innovando ed adattandosi al futuro. Giocando in attacco. La ricerca condotta con Aifi e Liuc conferma come il private equity possa accompagnare questa sfida dando propulsione e continuità, nel medio e lungo termine al ruolo stesso delle famiglie imprenditoriali. Che hanno imparato a fare partnership con i fondi a servizio della loro impresa. Il private equity è fatto di capitali che portano con sé persone, relazioni, competenze, ambizione, disciplina, flessibilità e cultura del rischio. E i risultati si vedono. Penso alle storie di successo che ci hanno visti e ci vedono direttamente impegnati come Fondo Italiano: Gruppo Florence, HNH Hospitality, Quick, Marval, Maticmind. Contribuire allo sviluppo dell’impresa familiare è una sfida fatta per noi».
Che, peraltro, è riflessa anche nelle metriche di performance che queste operazioni assicurano. Sempre secondo l’indagine il disinvestimento assicura un cash on cash medio di 2,3 volte e un Irr (tasso interno di rendimento) del 23%. Fondamentale, però, perché l’alchimia funzioni è trovare il giusto equilibrio con l’interlocutore che si sceglie. «Per le famiglie imprenditoriali – ha sottolineato il professor Salvatore Sciascia, co-direttore di Fabula, il Family Business Lab dell’Università LIUC – è cruciale identificare il partner finanziario che comprenda la propria visione e i propri valori per strutturare adeguatamente i termini dell’accordo, evitare tensioni future e massimizzare i benefici dell’operazione. Col giusto partner, l’impresa di famiglia può disporre non solo di nuovi capitali, competenze e relazioni, ma anche di meccanismi di governance che consentano di regolare meglio il complesso rapporto fra logiche familiari e logiche aziendali, nell’interesse di tutti gli stakeholder».
Fonte: Il Sole 24 Ore