Dai talenti agli agenti: ecco come le aziende “vedono” l’Ai nel 2025

Dai talenti agli agenti: ecco come le aziende “vedono” l’Ai nel 2025

Le prospettive di 1800 fra Ceo e C-level di grandi organizzazioni di diversi settori attive in 19 Paesi, Italia compresa, per capire meglio le sfide che le aziende dovranno affrontare nel corso dei prossimi mesi per generare valore grazie all’intelligenza artificiale, dall’adozione delle soluzioni ritenute più efficaci per lo sviluppo del business al recruiting dei talenti. L’AI Radar 2025 condotto da BCG X, l’unità di progettazione tecnologica di Boston Consulting Group, prova quindi a rispondere ad alcune delle domande che rimbalzano ormai da tempo sulle scrivanie dei manager, ne raccoglie intenzioni e aspettative e mette in evidenza alcune tendenze che confermano l’elevato livello di attenzione riservato alla tecnologie basate sugli algoritmi e sui modelli generativi e sulle loro più avanzate evoluzioni.

Quanto si spenderà e per fare cosa

Uno dei dati forse più importanti dell’intero studio è probabilmente il seguente: un’azienda su tre a livello globale prevede di investire oltre 25 milioni di dollari nell’AI entro la fine dell’anno e le imprese italiane che stimano una spesa fino a questa cifra sono l’86% del totale. Vi sono poi altre due percentuali ribadiscono come l’intelligenza artificiale non sarà una moda passeggera: i budget dedicati a questa tecnologia, come ha spiegato Sylvain Duranton, Ceo di BCG X, sono infatti aumentati del 30% fra 2023 e 2024 e si prevede che possano conoscere un ulteriore incremento del 60% entro i prossimi tre anni. Sull’AI e sulla Gen AI in particolare, insomma, pioveranno tanti soldi e l’entità dei capitali che verranno investiti dipenderanno dalle dimensioni delle aziende: di quelle con un fatturato superiore ai cinque miliardi di dollari, una su sei stanzierà quest’anno più di 100 milioni per avviare progetti legati a queste tecnologie. Il tema principale per le aziende, ora, è capire come sfruttare l’AI come volano per la competitività e quindi definire le linee guida di spesa per l’applicazione della tecnologia all’interno dell’organizzazione. Fra le principali opzioni a disposizione, secondo Duranton, una riguarda l’implementazione di soluzioni di intelligenza artificiale pronte all’uso nelle attività quotidiane per aumentare la produttività personale degli addetti, con incrementi variabili fra il 10% e il 20%). Una seconda strada porta invece a focalizzarsi su alcune funzioni critiche (per esempio il marketing, lo sviluppo di prodotti, i processi di approvazione del credito in ambito bancario o anche i servizi di manutenzione delle macchine sul campo) e a rimodellarle completamente attraverso le tecnologie dell’AI generativa: in questo caso il miglioramento in termini di efficienza ed efficacia tocca punte del 30% e a volte del 50%. In generale, come ha concluso il Ceo d BCG X, “si tratta di concentrare il tempo umano sulle decisioni veramente critiche e sui casi complessi e automatizzare dove c’è molta burocrazia”.

Il problema di generare valore dall’AI

Se l’intelligenza artificiale è una priorità assoluta per i leader aziendali, l’obiettivo condiviso da tutti non può che essere quello di poter ottenere (e misurare) risultati tangibili dai progetti che ne prevedono l’adozione a scala. Molto indicativo, in tal senso, è il dato che vede le aziende leader destinare oltre l’80% dei loro budget in AI e Gen AI alla trasformazione delle funzioni core e alla creazione di nuove offerte, concentrandosi in modo strategico sulla profondità di questi progetti piuttosto che sulla loro ampiezza e monitorandone gli effetti sia sui ricavi che sui costi. Per contro, c’è un 60% di aziende che non riesce a definire e monitorare alcun KPI finanziario relativo alla creazione di valore generato da questa tecnologia. Un problema, quest’ultimo, a cui ha dato molta importanza anche Christoph Schweizer, Ceo di BCG. “La nostra ultima ricerca – ha spiegato infatti il manager ai giornalisti intervenuti alla presentazione online dello studio – mette in luce una sfida cruciale: se tre quarti dei dirigenti considera l’intelligenza artificiale tra le prime tre priorità strategiche, solo un quarto riesce a ottenere un ritorno reale e significativo dalle iniziative di AI. Chi è più avanti nel percorso di adozione della tecnologia ha capito come ricavarne un impatto positivo lavorando su un insieme mirato di progetti, scalando rapidamente le soluzioni, trasformando i processi chiave, riqualificando i team attraverso la formazione e misurando sistematicamente i ritorni operativi e finanziari. Molte altre aziende, invece, hanno un’enorme opportunità di colmare il divario tra le loro ambizioni e i risultati concreti finora raggiunti. Detto che la fase di sperimentazione sulla Gen AI non è certo terminata, le imprese che risultano vincenti sono – secondo il Ceo di BCG – quelle che approfondiscono un minor numero di casi d’uso (su un minor numero di funzioni) rispetto a quelle che ne hanno migliaia. Qualità vs quantità, quindi. Le aziende che già oggi riescono ad adottare e scalare l’intelligenza artificiale all’interno dei propri processi e della propria organizzazione (e a ottenere un impatto positivo) sono in altre parole quelle più audaci e con visione più sistematica, le più innovative e le più impegnate a migliorare il proprio talento.

Gli agenti elemento chiave della trasformazione

Sistemi autonomi capaci di raggiungere obiettivi analizzando dati e interagendo tra diversi sistemi con un intervento umano minimo, di ricordare il contesto e le informazioni dei compiti eseguiti e usare queste informazioni per scomporre i problemi e pianificare azioni in modo consapevole e ragionato: questa, in sintesi, la definizione a cui ricorre BCG per introdurre il tema degli agenti AI, la cui implementazione è sì all’inizio ma vede sin d’ora (così recita lo studio) il 67% dei leader oggetto di indagine considerare questi strumenti parte integrante della trasformazione basata su intelligenza artificiale. La strada è dunque tracciata e lo si deduce anche dalle parole di Schweizer: “penso che il mondo sentirà parlare molto di agenti – ha detto infatti il manager – e riteniamo che rappresentino un importante passo avanti nella tecnologia dell’AI. Le aziende leader sono molto aperte ad usarli , ma è ancora molto presto per vederne i benefici”. Due i temi che, secondo gli analisti della società americana, saranno molto dibattuti nei prossimi mesi a proposito del ruolo e dei modi d’uso degli agenti. Il primo è legato alle modalità di codifica (più o meno rigide) delle regole presenti nell’agente e di conseguenza i margini di manovra lasciati all’intelligenza artificiale per elaborare le informazioni e suggerire autonomamente i passi successivi. Il secondo riguarda il grado di automazione degli agenti, e cioè quanto sono allenati a procedere in autonomia rispetto al fatto che gli umani debbano essere coinvolti. Sul fatto che stiano arrivando, però, non ci sono molti dubbi, fermo restando che, come ha sottolineato anche Vlad Lukic, Global Lead of the Tech and Digital Advantage practice di BCG, “non possono semplicemente essere utilizzati come una scatola nera e sperare in un loro impatto miracoloso. Occorre ripensare i flussi di lavoro e cambiare i processi per assicurarsi che vengano realizzati e implementati correttamente, in modo mirato ed effettivamente integrato rispetto ai flussi di lavoro principali”.

Il rischio più temuto? Privacy e sicurezza dei dati

A guidarne l’ingresso in azienda – detto che Giappone, Emirati Arabi Uniti e Singapore sono i Paesi più maturi in termini di ’adozione degli agenti AI – dovranno essere i Ceo e con loro i leader aziendali, che avranno alcuni obiettivi prioritari da raggiungere, a cominciare dall’abbattere i silos all’interno dell’organizzazione per sbloccare il valore dei dati in essi contenuti e portare fluidità nel processo decisionale. Non meno importante è la gestione del rischio informatico legato alla maggiore complessità operativa delle aziende e lo sviluppo di robuste capacità di test degli agenti: due terzi dei manager oggetto di studio hanno non a caso identificato la privacy e la sicurezza dei dati fra i rischi principali dell’AI, anteponendole alla mancanza di controllo o comprensione delle decisioni e alle sfide normative e di conformità, mentre il 76% ha ammesso come le misure di cybersecurity riferibili all’intelligenza artificiale prese dalla propria azienda richiedono ulteriori miglioramenti.

Fonte: Il Sole 24 Ore