Dal climate change alla nostalgia, l’intelligenza artificiale interagisce con la fotografia (e con l’umano)
L’innalzamento delle acque può coinvolgere facilmente i dintorni di piazza San Marco a Venezia, in maniera devastante, ma può raggiungere anche i picchi di Machu Picchu, nelle Ande peruviane, a più di 2mila metri di altezza. Parallelamente in Gran Bretagna la scena idilliaca di tre bambini alle prese con la pesca si confronta con i fumi di una centrale a carbone che è conseguenza di scelte politiche in contrasto con una sostenibilità lontana dalla realtà.
Le fotografie di Maurizio Grandi e di Craig Ames descrivono situazioni che potrebbero essere reali, ma dichiarano fin dall’inizio che le loro immagini sono il risultato dell’interazione con l’intelligenza artificiale per produrre fotografie frutto dell’immaginazione ma in grado di comunicare emozioni e messaggi precisi. Sono lor a essersi aggiudicati l’Intarget Photolux Award nella categoria AI, all’interno della sesta edizione di Photolux Festival, Biennale internazionale di fotografia in corso a Lucca fino al 15 dicembre. Si tratta del primo concorso dedicato all’intelligenza artificiale nella fotografia, che si inserisce nell’attenzione che il festival ha sempre dedicato alle tecnologie.
A differenza della foto classica che, potenziata anche dalle tecnologie, parte comunque da un dato di realtà, l’AI lascia spazio anche all’immaginazione. Così Grandi sottolinea la grande capacità di adattamento dell’uomo a qualsiasi situazione raffigurando un mondo ucronico in cui grandi inondazioni sconvolgono luoghi iconici, universalmente conosciuti, tra Venezia, Roma, New York, Parigi, arrivando fino al Gran Canyon, Las Vegas e Machu Picchu. Si tratta di immagini non ripetibili frutto di una serie di passaggi che alternano prompt ed elaborazioni fotografiche vere e proprie: “L’intelligenza artificiale crea una forma d’arte a se stante, che interagisce in maniera creativa con le persone, apportando un’integrazione che non è ripetibile: il potenziale espressivo nasce dall’interazione con l’essere umano, con un risultato che non è frutto di imitazione o di inganno, perché nessuno vuole prendere in giro chi guarda”, osserva Grandi, da sempre attratto dal ricercare di modelli di percezione visiva al di fuori dell’ordinaria esperienza umana, spesso perseguendo atmosfere metafisiche.
Anche le immagini dell’inglese Craig Ames sono frutto di un processo di trasformazione che punta a produrre un’estetica con contrasta con le cartoline. La sua “Gloryland” è un regno assurdo e isolato, intriso dei miti e delle trappole del suo lungo e turbolento passato. È una terra in cui le politiche progressiste e il pensiero visionario sono stati soppiantati da narrazioni retrospettive, strettamente definite e controllate che esaltano le promesse non mantenute di un ritorno alla grandezza. Riflettendo lo stato sfilacciato della nazione e una evidente ostalgia per il passato, i titoli delle singole immagini di questa serie narrativa satirica sono ironicamente riproposti dagli epiteti di Shakespeare dalla sua opera storica, Riccardo II.
Ames ha sviluppato nel suo percorso artistico un interesse specifico per le forme espanse di evidenza, simulazione e rappresentazione nell’era della post-fotografia che punta verso la post-verità. “L’intelligenza artificiale – sostiene – crea un nuovo media ben diverso dalla fotografia: attraverso l’ottica distorta dell’imaging generativo dell’intelligenza artificiale nascono immagini con messaggi innovativi. Ma allo stesso tempo nascono enormi questioni etiche, tutte da esplorare”.
Fonte: Il Sole 24 Ore