Dalla sfiducia alla leggenda: 40 anni fa il trionfo degli azzurri di Bearzot, campioni del mondo
Anche in quei giorni era molto caldo. Un caldo pesante, col il sole a martello. Così caldo e umido che al primo concerto dei Rolling Stones al comunale di Torino, quello dell’11 luglio cominciato alle 15 per permettere a tutti di seguire in tv alle 20 la finale al Bernabeu con la Germania, fu necessario inaffiare tutto il pubblico con gli idranti.
“Ancora! Ancora!” gridavano i fan in delirio, mentre Mike Jagger, con la maglia di Paolo Rossi, si lanciò in una spericolata profezia (“Vincerete 3-1”) che incredibilmente si rivelò esatta. Anche gli Stones, dopo un periodo di sesso, droga e poco rock&roll, stavano risorgendo dagli abissi. Risorgeva anche l’Italia di Enzo Bearzot, sbertucciata dai giornalisti come “l’armata Brancazot”, nella prima deludente fase dei Mondiali a Vigo.
Ma quella sera di 40 anni fa la canicola non faceva notizia. Era solo un elemento di cronaca ordinaria derubricata a folclore. Che si sopportava con l’umana rassegnazione di chi sa che poi andrà in ferie. Erano anni difficili, non ci si faceva mancare niente (mafia, terrorismo, criminalità, licenziamenti e scioperi selvaggi), ma non c’erano ancora “Caronte” e “Annibale” a ricordarci, coi loro artigli bollenti che sfregiano i ghiacciai, il rapido avanzare di una apocalisse climatica.
Si sudava con allegria, insomma. E poi ci si buttava nelle fontane come fecero milioni di italiani, quando all’81’ al terzo gol di Altobelli, Sandro Pertini si mise a gridare “Non ci prendono più… Non ci prendono più…”. In tribuna d’onore, lo stralunato re Juan Carlos, con il cancelliere tedesco Elmuth Schmidt, sorrideva imbarazzato. Il Bernabeu era tutto tricolore, mentre in Italia esplodeva la festa. Una festa travolgente. Pur avendo già due titoli mondiali alle spalle (1934-1938), e il titolo europeo nel 1968, tutta l’Italia “va nel pallone” come se questa vittoria fosse l’inizio di una rinascita e la fine di un incubo. Vanno tutti in strada: ragazzi, donne, intere famiglie, operai e professori. A Roma come a Milano, a Genova come a Napoli. Non c’è Nord e non c’è Sud. Tutti uguali, tutti uniti, tutti rauchi dalla felicità. Si parlo solo della Nazionale.
Anche i giornali più paludati “aprono” la prima pagina con l’impresa degli azzurri. Quel triplice “campioni del Mondo” ripetuto da Nando Martellini, telecronista di solito pacato, diventa lo slogan di un Paese che, dopo tante tristezze, può lasciarsi andare a una gioia quasi infantile, improponibile in un altro contesto. Gli anni di piombo, la tragedia di Moro e la mafia (che pure tornerà a colpire il 3 settembre uccidendo a Palermo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con la moglie e un agente di scorta), in quei giorni vengono cancellati in nome del diritto alla spensieratezza, una tregua dai cattivi pensieri.
Fonte: Il Sole 24 Ore