Dalla Svezia con colore – Il Sole 24 ORE

Passi e ripassi per questa sontuosa mostra: tredici sale che esplodono di inesauribili particolari da vedere e rivedere, poltrone, divani, tavoli e sedie. Tappeti, tessuti, candelabri, ghiande, gatti, peltro, legno, ottone. Posate, piatti, tovaglie. Fiori. Colori. Una fantasia fosforescente, fatta di toni decisi, intrecci e linee, arzigogoli e geometrie, la qualità prima di tutto, l’essenza dell’artigianato che richiede i suoi tempi e ha i suoi segreti che forse la macchina non conosce, la potenza di un tavolo perfettamente apparecchiato dove la casa tracima nella natura e viceversa. Termini il giro; e lo ricominci, lo devi ricominciare: perché è nel segno di un cerchio che si chiude, perfettamente, che va intesa un’esibizione che non celebra solo un centenario o solo un iconico brand (chissà quanto noto da noi, ma certamente venerato da chi ha un minimo di sapienza dell’argomento) ma, molto più in profondità, l’essenza di ciò che, molto opportunamente, è stato scelto come titolo: «A Philosophy of Home». Nemmeno, e tanto, dunque, una “filosofia dell’arredamento” (come pure ha insegnato in un libro eccezionale Mario Praz) ma proprio della casa, con tutto ciò che significa e comporta. Una casa che è sempre l’espressione della propria personalità ma, di più, è sempre un’espressione dinamica del proprio io, e di un noi. E, infatti, è la stessa ammaliante protagonista di questa mostra a rivelarlo: Estrid Ericson (1894-1981), una donna avanti nei tempi e nei pensieri, che nel 1924 fonda Svenskt Tenn – un negozio di oggetti in peltro – che fin da subito rivela una maestria e un estro potentissimi (l’anno dopo sarà a Parigi per l’Expo delle arti decorative e già vincerà un medaglia); e poi, negli anni, costituirà un unicum nella sua strada alla ricerca di un nuovo modo di concepire, e mettere in pratica, l’interior design che ancora oggi sbalordisce e meraviglia. Scrive la stessa Ericson nel suo Interior Catechism (proprio così; 1939): «Tutto ciò che una volta ti piaceva, e quello che ti piace adesso. Le nostre case non sono mai davvero completamente finite; le costruiamo e ci costruiamo con esse lungo tutta la nostra vita».

E se Estrid era la scintilla principe di questo universo in movimento rappresentato dal suo marchio, fu l’incontro decisivo con Josef Frank (1885-1967), architetto austriaco esule, per motivi razziali, in Svezia, pieno di idee, di mirabolanti decorazioni, inarrestabile matita pronta a disegnare incantevoli motivi naturalistici (i suoi pattern sono sempre piante e fiori verosimili, ma mai banali imitazioni del vero) a farlo crescere con quell’inconfondibile segno che fa di lui un maestro, meglio, un “contromaestro”, del Novecento; e di Svenskt Tenn un unicorno del design.

E se qualcuno riassunse così la metodologia di lavoro di Josef Frank ed Estrid Ericson – «lui ha fatto tutto quello che lei gli ha chiesto, lei ha apprezzato tutto quello che lui ha fatto» – resta incontrovertibile e ben visibile in mostra che Estrid capì subito, e in fondo, l’“orecchio assoluto” di Frank per le dimensioni, le proporzioni e la scelta dei materiali, avviando produzioni che, praticamente tutte, sfidano il tempo: perché sono concepite per durare, per non passare.

Nelle sale tematiche del Liljevalchs ci sono oggetti unici, prestiti da musei internazionali e collezioni private e oggetti che sono stati raramente esposti prima, grazie a un utilizzo sapiente dell’archivio aziendale. Del resto, il rapporto e la precedente collaborazione tra il centro d’arte Liljevalchs e Svenskt Tenn risalgono già inizi dell’impresa, quando Estrid Ericson iniziò a partecipare con oggetti alle mostre della galleria e, nel 1934, Liljevalchs fu proprio la sede del famoso debutto di Josef Frank con Svenskt Tenn, con l’iconico “divano Liljevalchs” (ve lo avevo detto che questa mostra è un cerchio che si chiude). Quel divano rappresentava, da una parte il caloroso, energico, rimprovero di Frank all’austero funzionalismo del design modernista e, dall’altra, la visione della casa come doveva essere per Estrid: confortevole, colorata e adattabile, qualcosa che cambia costantemente e in cui l’attenzione è però comunque rivolta alle persone. Ciò che appare plasticamente visibile nella sequenza di tavole imbandite (da sale altoborghesi ai picnic sul verde non fa differenza), vero segno riconoscibile della maison: Estrid insisteva sul fatto che dovessero sempre essere addobbate e che i fiori non dovessero mai mancare. Li portava tutti i weekend dalla sua casa di campagna, destinati al negozio: annunciavano, in città, il passare delle stagioni agli acquirenti. La mostra, curata da Jane Withers con la partership aziendale di Karin Södergren, è infatti inscindibile anche da un passaggio nel centralissimo negozio di Svenskt Tenn, in Strandvägen 5 (sede storica dell’azienda e, nei piani alti, casa stessa di Estrid): la continuazione fra museo e negozio è ovvia perché quasi tutto, una volta approvato, resta in produzione, meglio in vita. Ed è un conforto sapere che non siamo davanti perciò solo a una carrellata “storica” di un’azienda di design (tra parentesi, non sono molte le aziende di questo tipo che varcano la soglia del secolo) ma alla sua costante rivelazione di una idea che non muta. Lo stesso intento che animò Ericson quando, nel 1975, cedette l’azienda (lei che era stata la sola e unica amministratrice da sempre) a una Fondazione, assicurandosi che i suoi progetti trovassero il modo per eternarsi. Così è stato: Svensk Tenn ancora adesso lavora insistentemente sul catalogo e sull’archivio e, fatto raro (ricordato in mostra), non è un’azienda basata sul profitto ma sulla qualità. Gli utili, ancora oggi, vengono reinvestiti per promuovere azioni di salvaguardia, tutela, incentivo all’industria e all’artigianato svedesi e per la ricerca scientifica, in particolare sulla longevità. Ecco: forse per il centenario di un’azienda, festeggiare sapendo che esiste, e si può mettere in pratica, un modello che così virtuosamente, e per decenni, sa unire commercio, cultura, filantropia, design e vita, qualità e sorrisi, è anche contribuire a formare e diffondere un’idea diversa di “stare al mondo”, a maggior ragione oggi in epoche di alta attenzione ai temi della sostenibilità. Una lezione, insomma, per navigare verso il futuro (Estrid del resto aveva alla fine sposato un capitano di nave), senza mai rinnegare il passato e dicendolo gentilmente, ogni volta possibile, con i fiori. Perché la natura è da sempre il miglior designer. Estrid e Josef lo sapevano e lo predicavano; da tempi non sospetti.

Svenskt Tenn. A Philosophy of Home. Stoccolma Liljevalchs, fino al 12 gennaio 2025

Fonte: Il Sole 24 Ore