Dalle voci su Etro alle ipotesi su Armani: il 2021 sarà l’anno dell’M&A della moda
George Bennett di Vogue Business ne è sicuro, tanto da aver titolato una sua recente analisi “Why 2021 will be a bumper year for M&A”, ovvero: perché il 2021 sarà un anno fantastico per le fusioni e acquisizioni. Wwd, il quotidiano americano della moda e del lusso, è più possibilista: “M&A Talk Swirls Around Kering, Richemont Following Blog Report”, un titolo che potremmo tradurre con: si moltiplicano le voci di fusioni e acquisizioni con protagonisti i gruppi Kering e Richemont dopo i rumor apparsi in un blog di settore. Last but not least, c’è la previsione del recentissimo studio PwC Deals Global and Italian M&A trends sul 2020, focalizzato sul settore consumer, moda compresa.
Il confronto con il 2019 e il trend per il 2021
Dallo studio di PwC emerge che l’anno solare della pandemia, il 2020, ha visto diminuire le operazioni di M&A della moda in numero, ma aumentare in modo più che speculare in valore: nel dettaglio, il comparto ha registrato un calo del 17% del volume delle operazioni a livello globale, bilanciato da un incremento del 19% in termini di valore rispetto al 2019, che riflette tre operazioni italiane annunciate (e chiuse) dopo l’inizio della pandemia, Permira/Golden Goose, Moncler/Stone Island e l’acquisizione della maggioranza del brand australiano Zimmermann da parte di Style Capital Sgr. Se inseriamo le tre operazioni solo nel contesto italiano, esse hanno portato a un aumento del +177% a valore (rispetto al 2019) a fronte di un calo del 51% del numero delle operazioni concluse. Sempre nel 2020, a livello globale ma anche italiano, sottolinea Emanuela Pettenò, partner PwC Italia e Consumer & markets deals leader, le categorie maggiormente attrattive sono state l’abbigliamento (soprattutto casual), le calzature (intese in particolare come sneaker) e lo sportswear. Nel 2021 c’è già stata un’altra importante operazione: il passaggio di Jil Sander alla Otb, la holding che Renzo Rosso ha costruito attorno al marchio Diesel.
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Il «caso» Giorgio Armani
Tra i protagonisti dello scenario M&A del 2021 alcuni ipotizzano ci possa essere il Gruppo Armani (nella foto in alto, lo stilista al termine di una sfilata Emporio Armani di qualche anno fa). Le voci di una cessione di quote di minoranza o maggioranza a un grande gruppo o di una vendita ad altri importanti player del settore si rincorrono da anni, anche perché lo stilista-imprenditore è ancora oggi, superati gli 80 anni, amministratore delegato e presidente del suo gruppo e non sembra avere eredi, né per quanto riguarda la direzione creativa né per i ruoli apicali di gestione dell’azienda, che nel 2020 ha avuto un fatturato di 2,15 miliardi, tra i più alti dei gruppi italiani. Armani non è stato l’unico nome al centro di rumor finanziari: si è parlato (ma non è certo la prima volta) di una possibile vendita di Etro, al momento saldamente controllata dalla famiglia fondatrice, e persino di Dolce&Gabbana a Kering. Una voce, questa, immediatamente smentita dal gruppo fondato da Domenico Dolce e Stefano Gabbana, che potrebbe invece essere interessato ad acquisizioni di filiera, come suggerito in una recente intervista da Alfonso Dolce, amministratore delegato dell’azienda.
L’intervista a Vogue America
L’episodio più recente è legato a un’intervista concessa da Giorgio Armani a Jason Horowitz di Vogue America, intitolata Giorgio Armani on Fashion’s Future—And Why He’s Not Slowing Down (Giorgio Armani parla del futuro della moda e del perché non ha intenzione di rallentare). Un’intervista molto interessante e corredata dalle belle immagini di Annie Leibovitz. È bastata una “voce dal sen fuggita”, una frase verso la fine del colloquio, per scatenare nuove indiscrezioni. Il passaggio incriminato è questo, che riportiamo per intero in inglese, seguito dalla traduzione: «For years, Mr. Armani has insisted on his company’s independence, even as Gucci and Fendi and Pucci and other Italian luxury giants sold to the French conglomerates Kering and Lvmh. Mr. Armani, so much a symbol of Italy that he recently contributed furnishings to the Italian president’s palace, says that a French buyer is not in the cards. But, for the first time, he allows that the idea of Armani continuing as an independent company is “not so strictly necessary,” and says that “one could think of a liaison with an important Italian company”—and not necessarily a fashion company. He won’t divulge more». Ovvero: «Per anni Armani ha ribadito l’importanza dell’indipendenza della sua azienda, proprio mentre Gucci, Fendi e Pucci e altri giganti del lusso italiano venivano acquisiti dai gruppi francesi Kering e Lvmh. Universalmente riconosciuto comne simbolo dell’Italia, Armani – che di recente ha contribuito ad arredare il Quirinale – dice che la vendita a un gruppo francese è fuori discussione. Per la prima volta però, dice che «non è strettamente necessario» continuare come azienda indipendente e che «si potrebbe immaginare una liaison (SIC) con un’altra azienda italiana di rilievo», non necessariamente del mondo della moda. Ma – conclude Jason Horowitz – Armani non aggiunge altro.
Solo voci, per ora: il gruppo Armani non commenta
Da parte dell’azienda e dello stesso Giorgio Armani non ci sono state reazioni alla pubblicazione dell’intervista né alle speculazioni che l’hanno seguita, specie sui media italiani. Tra i nomi fatti per il futuribile accordo (pardon, liaison) sono tornati quelli di L’Oréal (colosso francese della cosmetica già al centro di simili rumor nel 2016, prima che Armani creasse una Fondazione per controllare il gruppo), Essilor (la holding che fa capo a Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica) ed Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli che nei mesi scorsi ha mostrato un evidente interesse a investire nell’alta gamma. A Exor è passato il brand cinese di lusso Shing Xia (nato grazie a una partnership con Hermès, mai però decollato) e il 24% della maison di calzature di altissima gamma Christian Loboutin.
Fonte: Il Sole 24 Ore