Dall’Irpef alle pensioni, cosa rischia l’Italia con la procedura d’infrazione Ue

Dall’Irpef alle pensioni, cosa rischia l’Italia con la procedura d’infrazione Ue

Celebrate le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, la Commissione europea “raccomanderà” al Consiglio – lo ha confermato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti – una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo, sulla base del dato di consuntivo del 2023 che colloca al momento il deficit al 7,2% del Pil, dunque ben distante dal tetto massimo del 3% previsto dalle regole europee. Come andrà ad impattare la procedura di infrazione sulla messa a punto delle prossime misure da inserire in legge di Bilancio, dalla conferma del taglio del cuneo fiscale e dell’Irpef a tre aliquote alle pensioni?

I prossimi passaggi

A fine giugno, accanto alla procedura di infrazione, verrà definita la “traiettoria tecnica” che la Commissione indicherà per ogni Paese spalmato su un quadriennio estendibile a sette anni, secondo lo schema definito dal nuovo impianto di governance. E’ probabile che fino a quando il deficit non verrà ridotto al di sotto del 3% del Pil, venga meno l’obbligo di ridurre il debito di un punto l’anno, a fronte dell’impegno a un percorso di aggiustamento di durata triennale con correzione del deficit strutturale di almeno lo 0,5% l’anno. Margini molto stretti, dunque, anche per la prossima manovra di bilancio. Se questa è la procedura, la trattativa verterà anche sulle possibili “deviazioni” dal percorso di rientro, e qui entrerebbe in gioco il possibile “sconto” nel periodo 2025-2027 che tenga conto dell’incremento della spesa per interessi sostenuta in seguito all’impennata dell’inflazione e all’aumento dei tassi da parte della Bce. Alla fine del triennio (o comunque quando l’Italia uscirà dalla procedura) l’obiettivo di deficit sarà l’1,5 per cento. Potrebbe aprirsi inoltre qualche ulteriore margine per gli investimenti pubblici già avviati nelle aree prioritarie europee (transizione climatica e digitale, sicurezza energetica e difesa) con annesso lo scorporo della spesa nazionale relativa al cofinanziamento dei progetti finanziati dalla UE. Entro il 20 settembre occorrerà presentare i primi piani di spesa a quattro anni, estendibili fino a sette.

Caccia alle risorse

Se questo è il quadro di riferimento, e in previsione dell’eventuale manovra-bis che potrebbe essere varata a fine giugno, con il deficit del 2024 indicato attorno al 4,4% del Pil, si porrà con tutta evidenza il problema di dove reperire le risorse per la prossima legge di Bilancio. A conti fatti, la base di partenza non si allontana di molto dai 20 miliardi che serviranno solo a confermare per un altro anno alcune delle misure portanti della manovra 2024, finanziate solo per un anno: 10 miliardi per il taglio del cuneo fiscale (7% dei contributi previdenziali per i redditi fino a 25 mila euro, 6% per i redditi fino a 35 mila euro), 4,3 miliardi per la nuova Irpef, che è passata da quattro a tre aliquote, con l’accorpamento dei primi due scaglioni (con l’aliquota del 23% applicata sui redditi fino a 28mila euro). Nell’elenco va inserita anche la superdeduzione per le assunzioni delle imprese, la riduzione contributiva extra per le mamme con due figli, il canone Rai ridotto da 90 a 70 euro (con integrazione del finanziamento della Rai per le spese relative agli investimenti pari a 430 milioni per il 2024), e poi vanno rifinanziate le spese indifferibili tra cui quelle per le missioni internazionali. La procedura di infrazione complica – non vi è dubbio – la caccia alle risorse e una volta escluso il ricorso a nuovo deficit (che pare non compatibile con il percorso di rientro che sarà fissato in sede europea) il focus non potrà che spostarsi su un mix di tagli alla spesa e maggiori entrate. Va segnalato peraltro che l’ultimo scostamento di bilancio è stato di 3,2 miliardi per il 2023, 15,7 miliardi per il 2024, 4,6 miliardi per il 2025. In mancanza dell’adeguato finanziamento anche per il 2025 delle misure già in vigore, verrebbe meno il beneficio, con tutte le conseguenze del caso anche sul versante della crescita, se si considera – come annunciato dal Governo – che la contemporanea applicazione della riduzione del cuneo contributivo e delle nuove aliquote Irpef ha l’effetto di “rafforzare le buste paga dei lavoratori dipendenti fino 1.298 euro all’anno”.

Sanità

Per la sanità con la legge di Bilancio è stato previsto uno stanziamento aggiuntivo pari a 3 miliardi nel 2024, 4 miliardi nel 2025 e 4,2 miliardi dal 2026. Parte di queste risorse sono destinate, tra l’altro, al rinnovo dei contratti del personale e per l’indennità a medici e sanitari impegnati nella riduzione dei tempi delle liste di attesa.

L’incognita delle pensioni

Anche sul versante della previdenza, il problema sarà individuare ulteriori risorse, poiché (come riportato dal Sole24Ore del 3 aprile) le “misure ponte” varate con l’ultima legge di bilancio, da Quota 103 in forma “penalizzata” alla proroga di Ape sociale e Opzione donna in versione ulteriormente ristretta e al “bonus Maroni (l’incentivo che prevede una decontribuzione di circa il 10% per chi decide di rimanere al lavoro), sono finanziate fino al prossimo 31 dicembre. Probabile che una decisione in tal senso sarà definita solo a settembre, in coincidenza con la presentazione a Bruxelles dei piani pluriennali messi a punto sulla base della “traiettoria di riferimento”, e poi con la legge di Bilancio vera e propria. Tra manovra-bis, percorso di aggiustamento previsto dalle regole europee e procedura di infrazione, sarà molto arduo ipotizzare che si possano realizzare gli obiettivi di riforma previsti dall’agenda programmatica del Governo fin dalla sua formazione. Ecco che allora potrebbe farsi strada l’ipotesi di una semplice proroga delle regole per gli “anticipi” in vigore quest’anno, rinviando ancora interventi più strutturali come quota 104 (possibilità di uscita con almeno 63 anni d’età e 41 di contribuzione) che era comparsa nelle prime bozze della manovra 2024 per poi essere sostituita dall’anticipo pensionistico con “quota 103” (62 anni di età e 41 di contributi) ma con ricalcolo dell’assegno interamente con il metodo contributivo. Per l’anticipo pensionistico Ape sociale è previsto un incremento del requisito anagrafico che è passato da 63 anni a 63 anni e 5 mesi e sale di un anno, a 61 anni, anche la soglia per l’accesso a Opzione Donna (con un figlio scende a 60 e con due o più figli a 59).

Fonte: Il Sole 24 Ore