Dentro i segreti del corpo per comprendere la mente

Una rivoluzione è in corso in psichiatria, un cambio di paradigma che porterà per la prima volta questa disciplina ad attaccare non i sintomi delle diverse patologie mentali, ma le cause sottostanti. È quanto emerge da una serie di ricerche svolte da diversi studiosi europei e americani. Facciamo dunque un passo indietro e partiamo dal fatto che la psichiatria moderna ha sempre seguito un approccio diverso dal resto della medicina. Se infatti quest’ultima si è occupata di identificare le cause delle diverse malattie, e di intervenire su di esse, la cura della mente si è limitata appunto a classificare i sintomi delle patologie mentali, trattando appunto questi ultimi.

I limiti della spiegazione genetica

Secondo Belinda Lennox, direttrice del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford, «durante tutto il secolo scorso il trattamento della malattia mentale è stato tenuto separato dal resto della medicina, e non disponiamo nemmeno di test diagnostici o biomarker predittivi».

Tutto ciò è esemplificato nel celeberrimo Dsm (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Illnesses), la “Bibbia” della psichiatria, un tomo che cerca appunto di raggruppare i diversi sintomi in condizioni discrete, dalla depressione maggiore alla schizofrenia. Già nel 2013 lo Us National Institute of Mental Health ha tentato di allontanarsi dall’approccio classico, investendo nella ricerca di geni connessi alle patologie mentali, ma senza successo, i geni così identificati hanno infatti manifestato un’influenza limitata sui disturbi in questione. Secondo Allen Frances, psichiatra della Duke University, si è trattato di una ricerca intellettualmente stimolante ma di un fallimento dal punto di vista clinico. I geni non costituiscono una spiegazione adeguata, per Ludger Tebartz van Elst, studioso dell’Ospedale Universitario di Friburgo, secondo il quale – ad esempio – condizioni molto diverse tra loro, come autismo, schizofrenia e Adhd, sembrano connesse alla medesima anomalia genetica, causata dalla perdita di un piccolo pezzetto del cromosoma 22. Un primo spiraglio di luce nei confronti della vera natura delle patologie psichiatriche si comincia a intravedere già a partire dal 2007, quando uno studio eseguito all’Università della Pennsylvania su un centinaio di pazienti affetti da problemi psichiatrici ha evidenziato come essi fossero in realtà affetti da un disturbo autoimmune (l’encefalite da recettore anti-Nmda), in sostanza un’infiammazione cerebrale da anticorpi che può appunto provocare psicosi. E in tempi più recenti Lennox ha messo in luce l’esistenza di un’inedita relazione tra malattie psichiatriche e sistema immunitario. Analizzando campioni di sangue di migliaia di pazienti affetti da psicosi, la scienziata ha evidenziato come nel 6% dei casi ci fosse un numero elevato di anticorpi legati ai recettori Nmda (“vie di comunicazione” presenti nei neuroni). Secondo Lennox non è chiaro come questi anticorpi agiscano, o come possano provocare fenomeni diversi come attacchi epilettici, psicosi ed encefaliti. Non è chiaro nemmeno come possano attraversare la barriera emato-encefalica, la membrana che controlla l’accesso al cervello. Tali anticorpi si concentrerebbero nell’ippocampo, area cerebrale deputata all’elaborazione delle informazioni provenienti dalla memoria a breve termine, il che spiegherebbe la produzione di allucinazioni e credenze illusorie.

Lennox (Oxford Univ.): «Agire sul sistema immunitario»

Secondo la studiosa è necessario un cambio di paradigma: «Le mie ricerche hanno mostrato che persone affette da malattia mentale possono migliorare in seguito a interventi sul sistema immunitario». La studiosa propone tra le possibili strategie l’utilizzo di farmaci immunoterapici o steroidei.

Un’altra linea d’indagine è quella relativa a malattie psichiatriche e metabolismo. Il cervello è un organo affamato di energia, e nel corso del tempo è emersa una relazione tra alterazione di questo o quel processo metabolico e lo sviluppo di condizioni come schizofrenia, disturbo bipolare e depressione maggiore. Al punto che alla Stanford University opera da tempo una clinica di psichiatria metabolica, i cui pazienti vengono trattati, oltre che con i farmaci, con la cura dell’alimentazione e dello stile di vita.

Fonte: Il Sole 24 Ore