Desideri ed esistenze ’round midnight
Essere BIANCO». Artista numero 208: Miles Davis. Sono in tutto 300, giovani e forti, più o meno, praticamente la più grande foto (e resoconto) di gruppo scattata al jazz degli anni d’oro da un personaggio che più fiabesco e anticonvenzionale non si può: Pannonica (detta Nica) de Kœnigswarter (1913-1988, e se già vi sembra roboante questo cognome, pensate a quello con cui era nata e dal quale mai si distaccò: Rothschild). Loro sono i più grandi jazzisti di sempre, quelli che hanno impresso definitivamente il marchio a quella musica, a quella filosofia di vita; il primo (per motivi evidenti) è Thelonious Monk (che infatti torreggia con tanto della di lei pelliccia e cappello di visone in copertina); l’ultimo è Lionel Hampton, al quale lei aveva insegnato, nientemeno, a leggere; in mezzo tutte le altre leggende: ditene una, e c’è. Foto in senso letterale del termine, dico: perché Nica, lungo tutti gli anni 60, scattò una serie di polaroid ai suoi amici, ai suoi protetti “fratelli di jazz”. Li coglie in situazioni particolari: la maggior parte delle foto, infatti, è scattata nella privacy della sua casa fuori New York e non mentre suonano in pubblico, come siamo abituati a vederli. E, a un certo punto, inizia a chiedere a ciascuno di esprimere tre desideri, ché a mettere per iscritto le risposte, incollando foto e trascrizioni effettuate con apposita macchina da scrivere su un album, destinato ben presto a diventare monumentale, ci avrebbe pensato lei. Quel libro (che ebbe vita avventurosa anche lui, rifiutato, come si conviene, dai migliori editori, ma capace di trovare comunque la sua strada verso i lettori, com’è fatale) ora arriva anche in italiano (finalmente!): I musicisti di jazz e i loro tre desideri (Edt, pagg. 346, € 32). Pubblicato per la prima volta solo nel 2006, è un libro intriso di leggenda e questa traduzione italiana (di Anna Lovisolo, con pregevole e non scontata introduzione di Luca Bragalini), condotta scrupolosamente sul dattiloscritto originale inglese e corredata da un’ampia scelta di foto, è certamente la migliore tra le versioni internazionali, anche per la carta, decisamente pesante, a imitazione dell’album di cui sopra, e della tipografia, che ricorda, sbavature comprese, il dattiloscritto e così via.
Opera monumentale, si diceva, come monumentale – e ancor di più – era stata la vita (e le relative, decisive, azioni) di Pannonica (il nome, il padre, entomologo appassionato, glielo mise per via di una falena, scovata in Ungheria, appunto, come la moglie Rosa) e come testimonia un altro imperdibile libro appena uscito, La baronessa (Neri Pozza, pagg. 288, € 19), nel quale la pronipote di Nica, Hannah Rothschild, scava nell’album di cotanta famiglia per raccontare una donna che ha saputo vivere la vita che desiderava fino all’ultimo dei suoi giorni (la sua ultima apparizione pubblica fu al Moma, 1988, quando si presentava il film «Bird» di Clint Eastwood, e lei ne aveva ben donde dell’esserci, visto che Charlie Parker aveva pensato bene di morire proprio nella suite di Pannonica allo Stanhope Hotel di New York, nel marzo del 1955), senza mai rinunciare a indipendenza e libertà.
Libertà: forse è questa la parola chiave con la quale è bene avvicinarsi all’epica esistenza, e alle decisioni, di Nica. Nata da famiglia straricca, eppure prigioniera di molte dorate convenzioni, compreso il matrimonio con il barone Jules (nel 1935, avrà 5 figli), venne stregata prima dall’ascolto di un brano di Duke Ellington, che la conquistò al jazz e poi, letteralmente, fatalmente, travolta da un brano, ’Round Midnight (1947) di Monk che è quasi l’inno stesso del jazz; forse lo standard moderno più eseguito e copiato, rifatto e omaggiato – insomma l’emblema, molto oltre le note (già complesse e difficili di per sé), della musica che incarna. Da quel momento, conquistare la totale libertà, per Pannonica, e seguire, proteggere, valorizzare, amare Monk (non è chiaro se il loro rapporto ebbe anche un lato fisico, ma è più no che sì, secondo le testimonianze) divenne una ragione, la ragione di vita. Con lui, andava protetta tutta quella schiera di artisti che animavano le notti americane, e di New York in particolare, di quegli anni gloriosi, notti che lei contribuiva ad accendere: stella luminosa a bordo di una Bentley che lasciava parcheggiata fuori dai vari club che visitava, più di uno a notte, a rendere evidente la sua presenza. Prendeva posto in prima fila, fumando dal bocchino e attirando l’attenzione di tutti, musicisti in primis («suona bene, la Baronessa è seduta là davanti», si dicevano).
Thelonious Monk soprannominò la casa di Nica (dove avrebbe anche vissuto, per dieci anni), “Cathouse”: cats era il termine in jazz slang per “musicisti”, e poi perché gli altri ospiti fissi erano un centinaio di gatti. Prima di acquistare l’appartamento con vista sul fiume fuori Manhattan, Pannonica si era stabilita in alcuni dei migliori hotel della città: lo Stanhope, l’Algonquin e il Bolivar. Ogni notte, dopo le jam session nei club, invitava i musicisti nelle sue suite per continuare a suonare; morale: i direttori d’hotel facevano di tutto per liberarsi di lei. I jazzisti, di solito, erano squattrinati; da lei potevano invece ordinare bistecche e champagne senza badare a spese. Purtroppo, però, sempre entrando dalla porta di servizio. Le suite e poi la casa di Nica erano perciò un luogo sicuro per rilassarsi, lavorare in modo creativo, provare e suonare, senza che nessuno interferisse. Perché la discriminazione razziale all’epoca era asfissiante: e Nica aiutava i musicisti neri a trovare un’oasi di libertà, anche rischiando il carcere per loro. Ecco: nelle risposte dei suoi 300 musicisti tornano sempre gli stessi motivi, tra preoccupazioni e cialtronismi vari. I soldi (per quasi tutti), potersi concentrare solo sulla musica, sognare che il jazz sia considerato arte, il bisogno di essere amati. E la fine della discriminazione dei neri. Perciò quel marpione di Miles dà quella risposta, così sconvolgente per lui, e tutta politica. Essere BIANCO, lo sapeva, lo avrebbe liberato, lui così orgogliosamente nero, dalle assurde vessazioni, arresto compreso fuori dal locale in cui suonava, cui tutti loro erano sottoposti. I musicisti dimostrarono la loro gratitudine a Nica dedicandole una ventina di composizioni. Lei volle essere cremata e dispersa lungo l’Hudson, in una breve cerimonia, che fu l’unica cosa sobria della sua vita, da tenersi a mezzanotte circa.
Fonte: Il Sole 24 Ore