Di città in città nella vegetazione delle frasi

Già dal titolo, Italo Calvino nelle città – nelle sale da domani al 30 ottobre –, si intuisce che il film-omaggio allo scrittore sanremese di Davide Ferrario e Marco Belpoliti è “spaziale”, ovvero legato sia ai luoghi vissuti e tangibili, che alle dimensioni “ultraterrene” praticate da Calvino nei suoi libri fantastici. Di fatto, anche gli autori della pellicola sono due intellettuali “spaziali”, a partire dal regista, Ferrario, versatile tra fiction e documentario, che ha ambientato un film di successo, Dopo mezzanotte (2004), nella verticalità della Mole Antonelliana di Torino e che riesce a trasmettere il pensiero di Eco (Umberto Eco – La biblioteca del mondo, 2023) attraverso i cunicoli e gli scaffali ricolmi di volumi della biblioteca semiologica, lunatica, magica e pneumatica. Marco Belpoliti – autore della sceneggiatura assieme a Ferrario –, ha scritto il suo primo saggio su Calvino nel 1990, Storie del visibile. Lettura di Italo Calvino (Luisè), seguito da Italo (Sestante, 1995), L’occhio di Calvino (Einaudi, 1996). Osservando il modo in cui il corpo occupa lo spazio ha restituito la personalità di alcuni politici, tra cui Berlusconi ne Il corpo del capo (Guanda, 2009 e 2018).

Il film intervalla le città “visibili”, in cui ha vissuto Calvino, a quelle “invisibili” dell’omonimo romanzo Einaudi del 1972, interpretate dalla voce di Violante Placido. L’attrice è “spaziale” anch’essa, grazie ai costumi di Giada Masi e agli scenari astratti, scelti da Francesca Bocca: una fabbrica abbandonata, una villa fatiscente, un teatro dismesso. Si parte dalla nativa Sanremo, il cui nucleo originario è diventato invisibile a causa della Speculazione edilizia (1963, Einaudi), denunciata in un racconto coraggioso. Il film mostra come Villa Meridiana, nome della abitazione di famiglia in cui Calvino è cresciuto dagli anni 20 in poi, sia ormai strozzata dal cemento. Quando era piccolo, la casa segnava il limitare dell’abitato con la natura pura. Figlio dell’agronomo Mario, che aveva creato nella villa una stazione botanica, e della botanica Eva Mameli, il giovane Italo, contrariamente ai genitori, viveva la carta del pianeta dalla villa in giù, ovvero nel mondo antropizzato, dove poteva trovare i negozi, la gente e soprattutto il cinema che frequentava ogni pomeriggio. Qui scatenava il suo immaginario attraverso pellicole americane, commedie musicali e gialli, poggiati soprattutto sulle facce d’attore senza uguali, nettamente prevalenti sulla trama. Dalla varietà delle specie della stazione botanica casalinga, Calvino mutuò il senso di una vegetazionedi frasi, ovvero letteraria, linguistica e di varietà scrittorie, anticamera dei giochi letterari di OuLiPo e di libri come Il castello dei destini incrociati (Einaudi, 1969).

È Filippo Scotti a interpretarlo nella fase giovanile attraverso i testi dello scrittore – tra cui, Eremita a Parigi, edizioni Pantarei, 1974, poi Mondadori, 1994; Sono nato in America, Mondadori 2012, 2022; Palomar, Einaudi, 1983–, mescolati a materiale di repertorio, interviste originali e non, found footage, fotografie e musica, di cui Calvino è stato abilissimo paroliere («Il cappotto umido di nebbia» delle Cantacronache è sublime). L’esperienza da partigiano nelle Alpi Marittime è affidata alle parole di Ricordo di una battaglia, La Pigna, Il sentiero dei nidi di ragno e a una frase monito sulla «fragile fortuna», sempre in pericolo, di vivere in pace e libertà. Poi Calvino prende il volto di Alessio Vassallo a Torino, città degli studi e della entusiasmante partecipazione alla vita editoriale di Einaudi, nata dalla passione per l’“operare” pratico della loro “bella” generazione. «Il tempo massimo l’ho dedicato ai libri degli altri», spiega con lo sguardo ilare.

Il periodo torinese, fino al 1970, è interrotto da una borsa di studio in America – dal 1959 al 1960 –, dove si innamora della Grande Mela: «La mia città è New York, città senza radici, dove io posso fare finta di averle. È un prototipo di città che posso illudermi di padroneggiare con la mente». A Roma, dove inizialmente affitta un piccolo appartamento nel 1962, è invece Valerio Mastandrea. Qui vive con la moglie, la traduttrice argentina Esther, Chichita, Singer, conosciuta a Parigi, e qui nel 1965 nasce la figlia Giovanna. Parigi è nel cuore, «il luogo ideale dove vivo da straniero», che si consulta come un’enciclopedia in continuità tra il Louvre e i negozi di formaggi. Partendo dall’etimologia di poubelle, la spazzatura, anticipa profeticamente che le città scoppieranno di rifiuti con «un’eruzione ininterrotta». Parigi è anche la congiunzione con le città invisibili, nate dall’esplorazione del 700, l’età in cui, poggiando proprio sui Lumi, nasce la letteratura fantastica. Lunghissima è la lista degli archivi consultati che nasconde un duro lavoro di studio e di montaggio (di Cristina Sardo) nel segno della miglior Leggerezza calviniana, forse la più amata delle Lezioni americane (Garzanti, 1988).

Fonte: Il Sole 24 Ore