Di Maio riconfermato inviato Ue nel Golfo Persico. Da Grillo a Draghi, le sette vite dell’ex leader M5S
Il più bravo, per gli estimatori. Il più furbo, per i detrattori. Luigi Di Maio è stato riconfermato per un altro biennio nel ruolo di rappresentante speciale dell’Unione europea nel Golfo Persico. L’ennesima vittoria per l’enfant prodige del M5S che fu, il partito immaginato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, quello che sognava di aprire il Parlamento «come una scatoletta di tonno» e cavalcava l’«uno vale uno» come slogan e filosofia di vita. Come anticipato dal Foglio, non solo l’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue, Kaja Kallas, ha comunicato il bis dell’incarico per l’«eccellente prestazione» e il «grande contributo» fornito da Di Maio e il Governo italiano guidato da Giorgia Meloni non si è opposto.
Un politico “puro” nel movimento anti-politica
Chi conosce il 38enne Di Maio, nato il 6 luglio 1986, non si stupisce. Perché, nel movimento antisistema delle origini, che ha costruito la sua fortuna sulla guerra alla politica di professione, il ragazzo di Pomigliano d’Arco era già la spia di una contraddizione che poi sarebbe deflagrata. Perché Di Maio è sempre stato un politico “puro”. Nessun altro mestiere ha esercitato, se non il lavoretto di steward allo stadio San Paolo di Napoli che ancora lo perseguita come se fosse un’onta e quello di webmaster. Cresciuto a pane e politica – il padre Antonio, imprenditore edile con la Ardima Srl, è stato dirigente del Movimento sociale e di Alleanza nazionale; la madre Paola è un’insegnante di italiano e latino – già al liceo classico Vittorio Imbriani di Pomigliano, dove si diploma nel 2004, scalda i motori come rappresentante d’istituto. E dopo il terremoto di San Giuliano di Puglia si impegna per la ricostruzione della struttura pericolante della scuola del paese.
Nel 2010 la prima candidatura
Ma è l’università Federico II a Napoli – si iscrive prima a ingegneria, poi passa a giurisprudenza senza mai laurearsi – la sua vera palestra: nella prima facoltà crea l’Assi, Associazione Studenti di Ingegneria. Nella seconda, nel 2006, diventa consigliere di facoltà e presidente del Consiglio degli studenti. Ma soprattutto fonda con alcuni colleghi la piattaforma online StudentiGiurisprudenza.it. Da lì scocca la scintilla con Beppe Grillo, il blog e il Movimento. Nel 2007 Di Maio apre il meetup di Pomigliano e nel 2010 si candida come consigliere comunale, ottenendo solo 59 preferenze. Ma tre anni dopo partecipa alle “parlamentarie” grilline, incassa 189 voti e corre alla Camera nella circoscrizione Campania 1 con il Movimento Cinque Stelle. Capolista era Roberto Fico, attivista della prima ora a Napoli, estrazione politica e familiare di sinistra: il suo alter ego sin dall’inizio. Insieme ad Alessandro Di Battista, sono stati loro a svolgere il ruolo di frontman Cinque Stelle, i prediletti dei fondatori: amici e competitor, sodali e rivali. Altre contraddizioni.
Dalla Camera a Palazzo Chigi, l’ascesa del più rassicurante tra i grillini
L’ascesa successiva è cosa nota: a 26 anni Di Maio diventa vicepresidente della Camera, il più giovane di sempre, e si conquista la fama di essere il più “presentabile” e il più ragionevole in mezzo ai grillini delle scie chimiche, degli attacchi scomposti all’Europa e delle lotte anti-vaccini. In una sola parola: il più rassicurante, un democristiano travestito da barricadero (come quando con Alessandro Di Battista vola a incontrare il leader dei gilet gialli Chalençon che sta mettendo a ferro e fuoco la Francia). Sopravvive a tutto il resto: la conquista del vertice del Movimento con l’incoronazione a «capo politico», l’esperienza di Virginia Raggi a Roma, di cui è sempre rimasto sponsor, la fatica del doppio incarico nel Governo gialloverde Conte I come vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico – con il debutto del reddito di cittadinanza e la famosa istantanea dal balcone di Palazzo Chigi a esultare per l’accordo sul Def con l’obiettivo di deficit-Pil al 2,4% che poi sarebbe stato ridimensionato al più modesto 2,04% – e quello di ministro degli Esteri nel Governo giallorosso Conte II, che ripete nel Governo Draghi.
Lo strappo con Conte e la mancata rielezione
Resiste anche all’ironia che ha accompagnato i suoi anni alla Farnesina, per via degli inciampi del suo inglese, dell’assenza di laurea e della distanza culturale con il corpo diplomatico. Ma progressivamente è la distanza con le scelte di Giuseppe Conte, che proprio lui aveva portato a bordo del M5S e che ne è diventato il leader, a farsi più marcata. Fino allo strappo finale e alla scelta di presentarsi con una lista separata (Impegno civico) in tandem con il Centro democratico di Bruno Tabacci alle elezioni politiche del 2022: con lui altri big del Movimento, da Laura Castelli a Carla Ruocco. Sui social si scatena la furia: il commento più generoso lo dipinge come «infedele 5S convertitosi al draghianesimo sulla strada di Dragon_Damasco».
Fonte: Il Sole 24 Ore