Disperazione per il matrimonio fallito non è futile motivo per l’uxoricidio

Niente aggravante dei futili motivi per l’uxoricida se il “movente” non è la gelosia ma la disperazione per la fine di un’unione sulla quale il marito aveva investito “tutto sè stesso” e che naufraga per la presenza di un altro uomo. La Cassazione ha così confermato il verdetto della Corte d’Assise d’appello, che aveva escluso l’aggravante dei futili motivi, per il marito che aveva ucciso la moglie con 40 coltellate, dopo averla scoperta di notte mentre chattava con un altro. L’omicidio era arrivato d’impeto, senza premeditazione, dopo la confessione di lei della relazione extraconiugale.

La consapevolezza della fine del progetto comune

Una storia parallela che aveva indotto la donna ad annunciare al coniuge la sua intenzione di separarsi. Un annuncio dopo il quale si era chiusa nel bagno con il tefoninino e lì il compagno l’aveva raggiunta e uccisa. A fare ricorso contro il no all’aggravante dei futili motivi era stato il pubblico ministero, secondo il quale la donna era l’ennesima vittima della gelosia. Di parere diverso la Cassazione che distingue la gelosia che nasce dal possesso, dal desiderio di controllo dell’altro ridotto ad un oggetto, da quanto, ad avviso dei giudici sia di merito sia di legittimità, aveva provato l’imputato che “non aveva mai palesato sensi di appartenenza possessiva nei confronti della moglie”. Il femminicidio era avvenuto la mattina quando il marito aveva avuto la conferma dei suoi peggiori sospetti. Pensieri “che già in precedenza lo avevano condotto in una spirale di depressione – si legge nella sentenza – nonchè ad un gesto di autolesionismo”. Per i giudici “la reazione omicidiaria si era innescata al momento in cui la donna comunicava di avere una relazione extraconiugale che non voleva interrompere, nemmeno per salvare il matrimonio”.

Marginale la componente della gelosia

Ad avviso della Corte, l’uomo, “ pur nutrendo certamente un sentimento di gelosia e pur vivendo da tempo uno stato personale di grave sofferenza, ricollegabile alla percezione della crisi coniugale, si sarebbe indotto ad agire nel momento in cui comprendeva che il matrimonio, cui si era dedicato anima e corpo era naufragato senza possibilità di recupero. Dunque non di gelosia o di possesso si tratta – concludono i giudici – bensì della raggiunta consapevolezza del fallimento dell’unione coniugale”. E la Cassazione conferma la lettura della Corte di merito: è la certezza del matrimonio naufragato che spinge il marito ad agire “contro colei cui egli aveva dedicato tutto sè stesso, e che, nonostante ciò non condivideva più con lui il medesimo obiettivo coniugale; è il lutto della loro unione, come definito dalla Corte d’Assise, che porta l’imputato ad agire tragicamente nei confronti della moglie”. Per l’imputato scatta comunque l’ergastolo per l’aggravante del rapporto di coniugio e della crudeltà.

Fonte: Il Sole 24 Ore