Disposizioni anticipate di trattamento: per i malati di Sla sono un cantiere aperto
La pianificazione condivisa delle cure, così come definita dal comma 5 dell’articolo 1 della Legge 219 del 2017 sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento, resta la chiave di volta. E lo è, in particolare, per i malati di Sla. Basta leggerlo, almeno in parte, per coglierne la portata: «Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento».
Il cantiere ancora aperto sulle cure di fine vita
«Ai fini della presente legge – insiste la norma – sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici». Un articolo che rappresenta un punto di partenza e di arrivo per certi tipi di malattia che mettono soprattutto il malato (ma anche le famiglie) di fronte a scelte irreversibili. E la comprensione della portata di questi aspetti è ancora un cantiere aperto per plurime ragioni: da una parte le difficoltà del sistema sanitario che per ragioni di budget livella tutto e spesso verso il basso senza fare alcuna differenza tra diversi tipi di patologie; dall’altra c’è un approccio culturale che stenta a comprendere il valore della norma. Così appare di grande attualità il tema «Fine Vita: una questione ancora aperta», che è poi il titolo del primo appuntamento della Road map di Aisla che si è tenuto a Palermo. «La nostra narrazione della medicina vede il medico come eroe guerriero, io vorrei una narrazione in cui l’eroe è il paziente, che può anche decidere di non essere necessariamente un guerriero – dice Lucia Craxi, vicepresidente Consulta Bioetica e ricercatrice nel dipartimento Bind dell’Università di Palermo -. Quindi il dovere di cura dal senso biomedico deve spostarsi verso il rispetto dell’autodeterminazione della persona. La vita è un bene inviolabile».
Le Dichiarazioni anticipate di trattamento non decollano
Il tema resta aperto. Si prendano, ad esempio, i dati sulle Disposizioni anticipate di trattamento (le cosiddette Dat più note impropriamente come testamenti biologici): secondo l’associazione Luca Coscioni, in Italia sono state depositate (i dati, dicono, sono in tempo reale) 191.277 Dat di cui 150.338 inviate alla banca dati nazionale. In pratica, in Italia, una Dat ogni 215 abitanti. Pochino. «Sono mancate – dicono dall’associazione Luca Coscioni – le campagne di informazione».Non è un caso che sia proprio l’Aisla a porre il problema: la Sla è una malattia che pone la persona di fronte a scelte esistenziali, un vero paradigma della complessità assistenziale. «Lì dove la vita e la sua qualità sono l’obiettivo verso cui tendere, in un’ottica “neuropalliative care”, Aisla supporta convintamente la cooperazione tra i professionisti della cura affinché l’area medica possa assolvere in modo appropriato al suo ruolo».
Il ruolo cruciale delle cure palliative
La figura del medico palliativista è quella figura specialistica con le adeguate competenze per supportare le famiglie nell’affrontare situazioni complesse, quali manifestazioni comportamentali destruenti, quadri di demenza frontotemporale, revoche di consenso informato e problematiche sintomatologiche difficili. Tema centrale è quello delle cure palliative volte ad alleviare la sofferenza fisica, psicologica ed esistenziale della persona, così come previsto dagli articoli 2 e 32 della Costituzione e dalla Legge 38/2010. «La SLA è una malattia terribile che colpisce le persone senza pietà, portando con sé sfide incommensurabili. Ed è in queste circostanze che dobbiamo dimostrare la nostra responsabilità – dicono Fulvia Massimelli e Michele La Pusata, rispettivamente presidente e vicepresidente nazionali Aisla -. Responsabilità nel continuare le nostre azioni nella sensibilizzazione, nell’educazione, per far sì che le persone comprendano meglio questa malattia, superando i pregiudizi e gli stereotipi che possono creare barriere sociali. Insieme, dobbiamo costruire una società inclusiva, dove ogni individuo, indipendentemente dalla sua condizione, possa vivere una vita dignitosa e felice».
Affrontare l’imprevedibilità della Sla
Sin dal 2014, Aisla si è impegnata nella stesura di un documento di consenso sulle scelte terapeutiche della persona affetta da Sla, un lavoro che si è sviluppato nel tempo e grazie al lavoro di equipe multidisciplinari. «L’imprevedibilità della SLA è differente da persona a persona e mai univoca – dice Daniela Cattaneo, medico palliativista Aisla -. Bisogna investire in un legame empatico con gli esperti delle cure palliative. La sinergia con un team specializzato può delineare percorsi personalizzati per il benessere della persona, offrendo un supporto che riduce l’eventualità di ricoveri urgenti o di emergenza».Si tratta di creare le premesse corrette in quei casi in cui l’impegno di oggi deve prendere in considerazione le decisioni e le prospettive del futuro.
Fonte: Il Sole 24 Ore