
Diversity, le multinazionali nel guado fra Europa e Usa
La ragazzina senza paura che affronta a viso aperto il toro di Wall Street compie il prossimo 8 marzo otto anni ed evidentemente è ritenuta sufficientemente adulta per sfidare la finanza da sola. State Street, società d’investimento che ne aveva commissionato la realizzazione della statua diventata iconica alla scultrice Kristen Visbal, ha annunciato proprio ieri di abbandonare i target sulla diversità di genere nei consigli di amministrazione, che nel 2023 avevano indicato l’obiettivo del 30% di donne. Una politica non più presente nelle strategie del gruppo, che pure aveva nel 2017 realizzato quella statua per indicare la rotta alle società in cui investiva nella direzione di una maggiore valorizzazione dei talenti femminili nel management e nei board.
D’altra parte il clima negli Stati Uniti è ormai chiaro: non c’è spazio per parlare di diversity. E la chiave sembra proprio questa, non parlarne più. In colloqui informali i responsabili del personale e i diversity manager confermano che i programmi interni perseguiti negli ultimi anni non saranno abbandonati, soprattutto nelle multinazionali che sono presenti in diversi Paesi e devono rispettare culture e normative diverse. Il trend, quindi, è quello di cambiare nome al dipartimento di riferimento, con titolazioni quali inclusion & belonging, people & culture, Merit & inclusion. Le rassicurazioni spesso arrivano dagli stessi ceo che con mail interne o interventi a eventi e webinar confermano l’adesione ai valori finora perseguiti.
Continuano gli investimenti
Se si guarda ai numeri, un’inchiesta realizzata a gennaio da Resume.org su un panel di mille leader aziendali statunitensi, ha evidenziato come solo una società su otto stia effettivamente eliminando le iniziative di DEI e abbia in programma di tagliare i fondi a riguardo. «Delle aziende che abbiamo intervistato che hanno avuto programmi DEI nel 2024 – scrive l’associazione – il 5% afferma di aver eliminato i propri programmi DEI, mentre un altro 8% sta riducendo il proprio budget. Nel contempo, il 65% afferma che il loro budget DEI rimarrà lo stesso e il 22% prevede di aumentare i finanziamenti».
Tra le aziende che hanno mantenuto o ridotto i finanziamenti DEI, inoltre, solo l’11% afferma di essere molto (4%) o un po’ propenso (7%) ad eliminare il proprio programma DEI nel 2025. Per il 37% non è molto probabile, mentre il 32% afferma che non è affatto probabile. Fra le società che hanno pubblicamente confermato il lro impegno gli analisti annoverano nomi come Adobe, Apple, Salesforce, T-Mobile e Workday.
Se si prende in considerazione solo l’8% che ha deciso di tagliare i fondi ai programmi dedicati alla diversity 4 su 10 riallocano i capitali a investimenti di sviluppo di intelligenza artificiale, mentre il 51% ha reindirizzato i fondi alle spese operative generali.
Fonte: Il Sole 24 Ore