Donne nei board, così l’Italia è fra i Paesi più virtuosi in Europa. E insegue la Francia

L’Italia è fra le eccellenze europee. Almeno per quel che riguarda la presenza di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa. I dati Consob indicavano a fine 2023 una percentuale femminile al 43,1%, ben superiore al 7% del 2011, anno in cui è stata approvata la legge 120, cosiddetta Golfo-Mosca dai nomi delle due parlamentari firmatarie. Prima dell’Italia solo la Francia (46,7% nel Cac40 e 46,3% nell’Sbf 120) e la Norvegia (43,5%), che per altro è stata la prima nazione europea a dotarsi di una legge sulle quote di genere nel 2003.

È nostra, invece, la maglia rosa per la percentuale di donne alla presidenza dei comitati, secondo il report Deloitte “Women in the boardroom 2024”: 52% audit, 54% governance, 57% remunerazioni, 60% controllo e rischi. La nota dolente arriva quando si arriva ai livelli apicali: le donne ceo e presidenti restano, infatti, ancora una rarità. Nel nostro Paese, secondo lo studio di Deloitte, solo il 4% dei ceo di Piazza Affari è donna. E nel management le donne non arrivano al 25%.

La voce dei ceo

«Diversità e inclusione sono importanti tanto per le persone quanto per l’azienda. Modelli organizzativi che favoriscano queste componenti generano valore dal punto di vista etico e sociale e hanno un positivo effetto sull’andamento del business, sulla competitività delle organizzazioni e sulla fiducia da parte di clienti, partner e azionisti che vedono l’azienda attenta a importanti istanze sociali» osserva Gianni Franco Papa, ceo di Bper, che precisa: «Bper ha specifici obiettivi di parità di genere e di valorizzazione della leadership al femminile e una strategia strutturata per favorire diversità e inclusione con obiettivi, parametri, budget, risorse e capacità esecutiva. Monitoriamo i kpi legati all’inclusione e alle pari opportunità e abbiamo un percorso di sviluppo manageriale per le donne».

Nell’ultima tornata di assemblee è stato rinnovato il cda di Tim, che per la prima volta nella storia della società è guidato da una donna, Alberta Figari. «Le aziende sono ancora governate principalmente da uomini, ma il talento, la leadership, la capacità di costruire e innovare non appartengono a un genere solo. Nel Gruppo Tim non ci siamo fermati alle società quotate, abbiamo portato a circa il 50% le donne in tutti i cda delle società del gruppo. Poi abbiamo affrontato il problema del pay gap (e continueremo a farlo) e stiamo portando avanti l’incremento delle donne nei ruoli manageriali. Questi sono cambiamenti che oltretutto alimentano entusiasmo, energia e motivazione» sottolinea Pietro Labriola, ceo di Tim.

Anche in Amplifon il ruolo di presidente è ricoperto da una donna, Susan Carol Holland, ma la particolarità è che il board è a prevalenza femminile (5 donne su 9). «La diversità in generale, e in particolare quella di genere, all’interno dei cda non solo è giusta ma è una fonte di arricchimento in termini di punti di vista e competenze. Non è una affermazione di principio ma è anche legata alla mia personale esperienza nell’attuale consiglio di Amplifon, composto in maggioranza da donne il cui contributo è fondamentale al successo dell’azienda» spiega il ceo Enrico Vita.

Fonte: Il Sole 24 Ore