Dopo 45 anni nuova pista nel delitto di Piersanti Mattarella: due mafiosi al centro dell’inchiesta
Svolta nell’inchiesta per l’omicidio dell’ex presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, fratello del capo dello Stato Sergio Mattarella. La Procura di Palermo avrebbe iscritto nel registro degli indagati due persone indicate come sicari del politico democristiano ucciso sotto la sua abitazione, sotto gli occhi della moglie e dei due figli. La notizia arriva in occasione del 45esimo anniversario dell’omicidio del politico siciliano, ucciso il 6 gennaio 1980. E inizierà con la deposizione di corone d’alloro sul luogo dell’omicidio in via Libertà a Palermo la giornata in ricordo di Piersanti Mattarella. Alla cerimonia in via Libertà parteciperanno autorità civili e militari. Un’altra cerimonia si terrà a Castellammare del Golfo dove il politico Dc, fratello maggiore del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è sepolto.
I due mafiosi al centro dell’inchiesta
L’ipotesi al vaglio degli inquirenti è quella di un delitto mafioso ideato e pianificato in Sicilia senza appoggi esterni. L’inchiesta sull’omicidio del presidente democristiano della Regione Piersanti Mattarella è in atto da anni, corredata da lettere anonime, immagini fornite agli inquirenti da giornali e agenzie di stampa, dichiarazioni di collaboratori. In questo fascicolo d’indagine entrano, o forse vengono ripescati, due sicari di Cosa nostra, entrambi in carcere con più ergastoli da scontare: Antonino Madonia, che ha 72 anni e all’epoca ne aveva 28 e Giuseppe Lucchese, detto Lucchiseddu, 67 anni, che all’epoca ne aveva 22. Il primo avrebbe sparato al politico, dopo i primi colpi sarebbe andato verso l’auto dov’era il complice a prendere un’altra pistola con cui avrebbe sparato nuovamente, mentre il secondo sarebbe stato alla guida della Fiat 127 del commando, rubata il giorno prima, poi ritrovata abbandonata non lontana dal luogo del delitto.
L’omicidio sotto casa mentre Piersanti si recava alla messa
L’omicidio venne commesso mentre Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Siciliana, si recava a messa con la moglie Irma Chiazzese, la figlia Maria e la suocera Franca. Al momento dell’omicidio Piersanti era alla guida della sua Fiat 132. Un sicario di Cosa nostra lo freddò con colpi di rivoltella calibro 38 sparando attraverso il finestrino. Le perizie balistiche disposte dalla Procura della Repubblica di Palermo accertarono che vennero utilizzati due revolver. Le indagini identificarono negli esecutori materiali Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, terroristi di estrema destra dei Nuclei armati rivoluzionari. Il processo che ne seguì però non riuscì a determinare univocamente gli esecutori materiali dell’omicidio.
L’attività di Piersanti era considerata «assai pericolosa» dagli ambienti mafiosi
I giudici nelle sentenze che si sono susseguite negli anni nei processi sugli omicidi politici scrissero che l’attività dell’ex presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, «appariva assai pericolosa» per gli ambienti mafiosi, «in quanto ispirata a una genuina politica di rinnovamento, anche in virtù del controllo che aveva cominciato ad esercitare nei confronti del Comune» di Palermo. «Fra le iniziative più innovative e rischiose adottate da Piersanti Mattarella vi era stata l’acquisizione dell’elenco dei funzionari regionali nominati collaudatori di opere pubbliche, che gli consentiva di verificare quali gruppi controllassero la materia dei pubblici appalti e di intervenire di conseguenza nel modo più efficace al fine di renderli trasparenti», si legge nella sentenza sulla strage di Bologna, nel capitolo relativo all’omicidio del presidente «dalle carte in regola». Con l’avvento di Piersanti Mattarella alla presidenza della Regione siciliana, scrivono i giudici, «per la prima volta gli interessi affaristico-mafiosi, che col tempo si erano consolidati in seno al potere politico in sede comunale e regionale, erano stati messi in discussione (ed erano a rischio), e proprio a opera di un esponente della Democrazia Cristiana, il partito che fino ad allora aveva detenuto il potere in Sicilia in forma indiscussa e aveva assicurato alla mafia, in un regime di sostanziale egemonia, la gestione di tutti i più importanti affari della vita economica siciliana, a cominciare dagli appalti delle opere pubbliche». In questo contesto, «la assoluta indisponibilità di Mattarella a qualsiasi tipo di compromesso poneva a repentaglio quegli equilibri tra le amministrazioni pubbliche e gli interessi mafiosi che attraverso altri soggetti era stato ormai da tempo possibile creare e mantenere».
Le trame della cupola di Cosa Nostra
Quello di Mattarella, presidente rinnovatore, è annoverato tra i delitti politici di Palermo insieme a quelli del segretario provinciale della Dc Michele Reina e del segretario regionale del partito comunista Pio La Torre. Delitti che secondo i processi fin qui svolti – nel caso di Piersanti Mattarella sono stati condannati come mandanti i boss della cupola di Cosa nostra – hanno come causale l’impegno verso una “pulizia” all’interno dell’amministrazione pubblica, da parte delle vittime con lo svelamento della ragnatela politico-affaristica- mafiosa. Uno degli uomini, in Sicilia, che aveva un forte interesse a che ciò non avvenisse era Vito Ciancimino, corleonese esponente democristiano ed ex sindaco di Palermo condannato a 8 anni per mafia e corruzione, morto nel 2002. «Ciancimino è nelle mani dei corleonesi», disse Tommaso Buscetta, e due ex sindaci Elda Pucci e Giuseppe Insalaco raccontarono alla commissione Antimafia delle loro difficoltà nell’amministrare a causa di Ciancimino, interessato soprattutto ai soldi degli appalti pubblici. L’anno dopo la villa di Pucci saltò in aria e Insalaco venne assassinato. Il collaboratore Francesco di Carlo oltre 15 anni fa aveva rivelato che il mandante degli omicidi Reina e Mattarella era stato proprio don Vito. La procura palermitana avrebbe esaminato con attenzione i reperti giornalistici dell’epoca scoprendo anche la fotografia che ritrae un’automobile considerata di grande interesse investigativo.
Fonte: Il Sole 24 Ore