Dopo il boom di vendite a Natale, previsti rincari fino al 15% per datteri, mandorle e fichi secchi

Dopo il boom di vendite a Natale, previsti rincari fino al 15% per datteri, mandorle e fichi secchi

Il tradizionale piatto di frutta secca sulle tavole di Natale sarà sempre più caro. La colpa è ancora una volta del climate change, che non risparmia nessuna area del mondo e che, vuoi per la siccità sferzante, vuoi per le piogge incessanti, sta compromettendo tutte le produzioni. Lo sa bene Benedetto Noberasco, responsabile acquisti dell’azienda leader in Italia nel settore della frutta secca e disidratata, che importa datteri dal Nordafrica dal 1914. Quest’anno il prodotto di punta dell’azienda, che spesso viene identificata con l’iconica ballerina dei deglet nour, è assicurato senza grandi scossoni, ma sulle forniture della prossima stagione pende una grossa incognita dovuta alle piogge torrenziali che imperversano in Tunisia, nella top ten dei maggiori produttori di datteri del mondo e tra i primi fornitori in Europa.

«Le condizioni atmosferiche avverse causano gravi ritardi nelle operazioni di raccolta e nei processi logistici, con posticipi delle spedizioni destinate al mercato europeo e ad altri mercati internazionali», racconta Pietro Mauro di Fruitimprese. «Il timore è che questi ritardi possano limitare la disponibilità del prodotto, compromettendo la capacità di rispondere pienamente alla domanda stagionale e di mantenere una fornitura costante nel tempo», conclude.

«Le nostre forniture sono garantite – dice Noberasco – ma il problema è serio e impatta maggiormente sul biologico, che non dispone di strumenti di difesa contro l’eccessiva fermentazione innescata dalla pioggia».

Secondo Onagri (l’Osservatorio nazionale agricoltura) le esportazioni di datteri tunisini durante i primi quattro mesi della campagna 2023/2024 hanno raggiunto 70,3 mila tonnellate, per un valore di 135 milioni di euro, con un aumento del 18,9% in volume e del 23,4% in valore rispetto allo stesso periodo della campagna 2022/2023. Negli ultimi mesi, invece, la selezione è stata più complessa e alcuni operatori hanno segnalato qualche rottura di stock.

Quali saranno le conseguenze di questa campagna a singhiozzo? Noberasco – che conta di chiudere il 2024 tra i 90 e i 100 milioni di euro di fatturato – non ha dubbi: «Dal prossimo anno rincari nell’ordine del 5% e qualità più fermentate».

Fonte: Il Sole 24 Ore