Dossieraggi, le prime ammissioni, «prelevavo dati per Carmine Gallo»

Ci sono le prime smagliature nella rete delle presunte cyber-spie scoperta dalle indagini della Dda di Milano e della Dna e che la scorsa settimana ha portato a quattro arresti domiciliari, tra cui quelli dell’ex super poliziotto Carmine Gallo e del suo “braccio destro” Nunzio Samuele Calamucci, due sospensioni dal servizio e una raffica di perquisizioni.

Calamucci: «Useremo israeliani per operazione per Del Vecchio»

Spunta anche una “operazione” del gruppo di Equalize da realizzare, stando alle intercettazioni, per conto di Leonardo Maria Del Vecchio, il quarto figlio del patron di Luxottica e indagato, e che Nunzio Calamucci, la cosiddetta mente tecnologica, vorrebbe chiamare “Piombo fuso”, negli atti dell’inchiesta milanese sulla presunta “centrale di dossieraggi”. Calamucci, riassumono gli investigatori in un’informativa di fine settembre, «fa riferimento agli israeliani con cui hanno collaborato insieme a De Marzio», l’ex carabiniere tra gli oltre 60 indagati, e «dice di voler chiamare “l’operazione per Del Vecchio con il nome “Piombo fuso” in onore degli israeliani e del fatto che nella vicenda il loro aiuto tornerà sicuramente utile». Calamucci: «Perché piombo fuso? Perché è lo stesso progetto, è l’ultimo progetto che hanno fatto i ragazzi di Tel Aviv». Le conversazioni risalgono al dicembre 2023 e si trovano in un capitolo degli atti nel quale viene indicato che Calamucci e Giulio Cornelli, anche lui arrestato il 25 ottobre, «stanno contando denaro contante per un totale di 39mila euro». E Calamucci in quell’occasione «svela – scrivono gli investigatori – che quei soldi provengono da Del Vecchio e che glieli ha consegnati De Marzio che si sarebbe trattenuto come percentuale 11mila euro». E sarebbero per una «operazione che stanno architettando». Secondo Calamucci, «è in corso una “guerra” interna alla dirigenza e al management di Luxottica che vede come vittima la famiglia Del Vecchio e Leonardo Maria in particolare». L’hacker spiega pure che «i Del Vecchio sarebbero oggetto d’investigazioni da parte di un’altra agenzia che avrebbe ottenuto l’incarico da una società straniera» e parla di «finti dossier» che dovrebbero essere confezionati.

Gli interrogatori di garanzia

Mentre l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale «rigetta ogni insinuazione circa presunte forme di compromissione dei propri servizi digitali», giovedì 31 ottobre è stato il giorno degli interrogatori di garanzia davanti al gip milanese Fabrizio Filice. Da un lato Gallo e Calamucci con le loro dichiarazioni spontanee si sono difesi («In 41 anni ho servito le istituzioni e anche adesso collaborerò con le istituzioni», ha detto Gallo), dall’altro ci sono state le prime ammissioni. Marco Malerba, il poliziotto destinatario di una misura interdittiva, è stato l’unico dei sei a rispondere alle domande. «Sì, facevo gli accessi abusivi per i dati, nell’ambito di un rapporto di scambio di favori», ha affermato. Favori che, a suo dire, gli venivano richiesti da Gallo un tempo responsabile del commissariato di Rho-Pero nel Milanese: al suo “ex capo” non sarebbe «riuscito a dire di no». In cambio avrebbe ricevuto, tra l’altro, raccomandazioni per visite mediche o quando si trattava anche di un tavolo al ristorante. E pure il pagamento di spese legali.

Anche Massimiliano Camponovo e Giulio Cornelli, due dei più esperti hacker della squadra che ruotava attorno alla Equalize, di proprietà di Enrico Pazzali, il presidente indagato di Fondazione Fiera, autosospesosi, sebbene si siano avvalsi con le loro parole hanno aperto spiragli importanti al pm Francesco De Tommasi, che coordina le indagini con l’aggiunto Alessandra Dolci e il Procuratore Marcello Viola. Il primo ha parlato di «una mano oscura che muoveva questo sistema» per descrivere ciò che lui aveva percepito, che lo preoccupava, tanto da temere per la sua vita e per quella dei suoi familiari. Per questo «facevo i report con i dati che mi davano». Cornelli, invece, con le lacrime agli occhi, ha spiegato: «Chiarirò tutto quello che potrò chiarire. Voglio uscire» da questa brutta situazione e «tagliare con ambienti che non mi riguardano». Come ha riferito il suo legale, l’avvocato Giovanni Tarquini, il tecnico informatico ha aggiunto di non riconoscersi «in quella figura che gli viene attribuita» dalle indagini in quanto «non è dentro in alcun contesto associativo criminale» bensì «in una vicenda delicata dai contorni ancora da definire» su cui vuole rendere lumi «per uscire e tagliare i ponti» con ambienti che, ha sostenuto, non lo riguardano. Dunque, non appena con il suo difensore avrà letto gli atti, dovrebbe rendere interrogatorio ai pm.

Carmine Gallo: «Ero nei servizi»

Anche Gallo e Calamucci, entrambi difesi dall’avvocatessa Antonella Augimeri, vogliono rendere interrogatorio e collaborare, ma in chiave difensiva. Il super poliziotto, che in alcune intercettazioni dice di aver «lavorato nei servizi», che si definisce un «servitore dello Stato», ha affermato di voler parlare «ai pm per dimostrare la mia innocenza». E l’altro protagonista delle indagini, in quanto “mente tecnologica del gruppo”, ha tenuto a precisare che «dal punto di vista empirico le cose che ho letto sugli organi di stampa sono impossibili da realizzare», negando quindi di aver mai “bucato” lo Sdi, in quanto, a differenza di quanto emerge dalle intercettazioni, lui e i suoi uomini non sarebbero stati in grado. Eppure, per esempio, nel giugno dell’anno scorso, è arrivato l’ordine di Pazzali di entrare nella banca dati del ministero dell’Interno per verificare se fosse o meno indagato. E questo perchè un suo “amico” alto ufficiale della Gdf gli avrebbe riferito di aver saputo di una inchiesta nei suoi confronti su un bonifico su un suo conto di 200 mila euro da parte di Banca Intesa. Una vicenda su cui proprio in quei giorni in Procura erano in corso le audizioni dei manager dell’Istituto di Credito.

Fonte: Il Sole 24 Ore