È morto Paolo Taviani, regista della letteratura e dell’impegno civile
È morto a Roma, a 92 anni, dopo una breve malattia, il regista Paolo Taviani, che assieme al fratello Vittorio, mancato nel 2018, nel secondo Dopoguerra ha formato “la coppia” del cinema militante italiano, capace di trascrivere sullo schermo le pagine più belle della letteratura impegnata.
Nato nella provincia di Pisa, a San Miniato, nel 1931, proprio a Pisa cominciò a manifestare il suo “furore” cinematografico e, sempre con il fratello Vittorio, fu tra gli animatori del Cineclub di Pisa. E da lì è impossibile raccontare la sua storia professionale e umana senza quella di Vittorio.
Sin dagli esordi diressero assieme, inizialmente opere documentarie, tra cui San Miniato luglio ’44, con il contributo alla sceneggiatura di Cesare Zavattini, per poi girare il loro primo film di finzione I sovversivi (1967), con cui anticiparono la protesta sessantottina che sbocciò l’anno dopo. Era l’epoca del grande successo di Brecht al Piccolo teatro e della Nouvelle Vague francese. I due fratelli riuscirono a far propri quei germi e a portarli sul grande schermo a modo loro con Gian Maria Volonté in Sotto il segno dello scorpione.
Il talento letterario
Poi furono soprattutto interpreti della grande letteratura: San Michele aveva un gallo (1972) è l’adattamento del racconto di Tolstoj Il divino e l’umano e nel 1977 Padre padrone, tratto dal romanzo di Gavino Ledda sulle dure leggi del patriarcato in Sardegna, valse ai due fratelli la Palma d’oro. Da lì la loro carriera ebbe un corso diverso, ancora più autoriale, che non tolse però mai ai due fratelli quell’aria sorniona e alla mano che hanno sempre portato negli anni.
A Cannes ebbero un altro riconoscimento importante, il gran premio speciale della giuria, con La notte di San Lorenzo (1982) sulla strage del duomo di San Miniato nel 1944, ritornando quindi ai temi del loro primo documentario, ma con un registro da realismo magico. Non a caso i due fratelli avevano nel corso della loro lunga carriera lavorato con Tonino Guerra che aveva sempre lasciato il maschio della sua visione fantastica e stralunata, dolorosa e sensuale, nel fatalismo contadino. Un altro notevole adattamento più tardi, nel 1996, fu Le affinità elettive (1996), dall’omonimo romanzo di Goethe;
Fonte: Il Sole 24 Ore