
Ebbra di ricordi nella Le Havre dell’infanzia
Come le onde della risacca – che vanno avanti e indietro, sembrano quasi uguali ma non lo sono mai e col loro continuo tornare, simili ma differenti, cancellano l’immagine di quelle che le hanno precedute – così sono i ricordi. Rievocandoli li si cancella. L’immagine imperfetta che si riforma nella mente si sovrappone a quella originaria: più la si richiama più la si altera. È con quest’intuizione (corroborata anche da studi neuroscientifici) che pare giocare, forse già dal titolo, Maylis De Kerangal, una delle scrittrici francesi più originali di oggi, in Giorno di risacca.
Protagonista una donna parigina che un giorno riceve una chiamata da un poliziotto di Le Havre per convocarla nella città dove è cresciuta (come l’autrice). Non è tornata da vent’anni, neppure con la mente. Al commissariato l’agente le spiega che sulla spiaggia del porto è stato trovato il cadavere di un uomo con in tasca un foglio col suo numero di telefono. Le mostra le foto del corpo: non le sembra di averlo mai visto. Lasciato il commissariato la donna però non torna a casa. Circondata dalla luce e dalla topografia della sua infanzia si ritrova inopinatamente invasa dai ricordi a vagabondare nel luogo del crimine, a fare ipotesi, a cercare tracce.
E come sempre con De Kerangal, che in ogni suo libro dapprima stupisce con l’esuberanza della prosa, così ardita da sembrare quasi eccessiva, e presto ammalia con le immagini che riesce a evocare con ipotiposi folgoranti, ci si trova immersi in questa città di cemento, senza strati, senza resti del passato perché rasa al suolo dagli Alleati nel ’44, ma piena di ricordi e di fantasmi (oltre che di narcotrafficanti).
Scrittrice di luoghi, che sa animare con freschezza e libertà sorprendenti, scrivendo romanzi che – come anche Corniche Kennedy (Feltrinelli 2018) – paiono emergere dal paesaggio, ma anche scrittrice dell’adolescenza e della giovinezza, scompigliata e ariosa, sfrenata e sensuale come lo è la sua lingua, e grande ritrattista di mestieri, cui si àncora tracciandoli con perizia e curiosità dopo pagine liriche e impalpabili, De Kerangal per un giorno ci porta in giro per Le Havre con una protagonista che entra ed esce, ebbra, dal suo passato accumulando indizi che lo collegano al presente, che fa capolino con le sue assordanti dissonanze, come il rimpallo di responsabilità tra autorità francesi e britanniche nel soccorso dei migranti nella Manica: «un confine fittizio rispettato più della vita stessa».
Indizi che talvolta sembrano convergere, iniziando a suggerirle chi potrebbe essere il morto misterioso e cosa volesse dirle. Un’immagine cangiante che appare e scompare nella sua mente, così come si materializzava e smaterializzava in lei ossessivamente, per poi svanire del tutto per il troppo evocarlo, il volto del suo primo amore, un marinaio che dopo un’estate indimenticabile non le aveva mai scritto. Un andirivieni di ricordi che porta chi legge a riflettere sulla capacità del cervello di trattenere il passato e su quella delle storie di rielaborarlo per dare senso al presente.
Fonte: Il Sole 24 Ore