Ecco come inverni troppo brevi ed estati umide danneggiano gli uliveti

L’agricoltura di “previsione” per conoscere in anticipo l’entità del raccolto di olive e riprogettare le pratiche agronomiche da adottare. A mettere in piedi questo sistema è uno studio portato avanti dai ricercatori dell’Enea con Cnr e Università della California di Berkeley (Stati Uniti).

Un lavoro importante per l’Italia, dato che – nonostante non manchino gli elementi di crisi – il Paese si colloca tra i maggiori produttori al mondo di olio d’oliva in termini di qualità e quantità. Non a caso l’80% della produzione nazionale si concentra in 24 province distribuite per lo più nel centro, nel sud e nelle isole dove la coltivazione dell’ulivo segue ancora pratiche agricole tradizionali.

La ricerca, basata sui dati di 66 province italiane dal 2006 al 2020, ha identificato i principali fattori di stress climatico stagionale responsabili dei cattivi raccolti.
«Dalle nostre analisi è emerso che livelli di raccolto eccezionalmente bassi si sono verificati in modo più frequente a partire dal 2014 in concomitanza con inverni relativamente caldi – spiega Luigi Ponti, ricercatore del laboratorio di Sostenibilità, qualità e sicurezza delle produzioni agroalimentari e coautore dello studio insieme ad Arianna Di Paola, Edmondo Di Giuseppe e Massimiliano Pasqui del Cnr e ad Andrew Paul Gutierrez –. Questo succede perché il periodo di riposo stagionale della pianta diventa sempre più breve alterando il suo ciclo vitale e di conseguenza la fioritura e l’impollinazione».

Per portare avanti lo studio i ricercatori hanno utilizzato i dati di uso del suolo ad alta risoluzione (fino a 300 metri) e 23 variabili climatiche arrivando poi a elaborare un indice di previsione tre volte più preciso delle variabili prese singolarmente.Oltre alla siccità estiva, dallo studio emerge che la causa principale del calo dei raccolti è da attribuirsi a estati umide e fresche perché favoriscono la diffusione delle femmine della mosca dell’olivo, così come temperature invernali più miti fanno diminuire la mortalità delle pupe di questo parassita con conseguente aumento del rischio di epidemie per la stagione successiva.

«I cambiamenti nelle caratteristiche del terreno possono alterare la stabilità della resa, ma sono un processo lento – conclude Ponti – . Al contrario, i fattori di stress climatico stagionale possono avere un impatto rapido e significativo sul raccolto e sui costi da sostenere per il controllo dei parassiti. Pertanto, è fondamentale lo sviluppo di metodologie innovative per aiutare il settore agricolo a raggiungere una produzione elevata e stabile».Lo studio è stato supportato da due progetti di rilevanza nazionale e internazionale a guida scientifica Enea che mirano a sostenere i sistemi agroalimentari olivo, vite e grano, parte del patrimonio mondiale Unesco della dieta mediterranea.

Fonte: Il Sole 24 Ore