ecco il ‘lunar tyre’, la ruota del futuro per le missioni lunari”

«Ci siamo ispirati alla zampa di un cammello, la cui pianta si allarga sulla superficie per non sprofondare nelle sabbie desertiche». Così Narumi Kawada, responsabile mondiale del progetto “lunar tyre” per Bridgestone, inizia a descrivere il “pneumatico non pneumatico” sviluppato per trasportare gli astronauti sulla superficie selenica.

Kawada è a Milano, all’International Astronautical Congress (o Iac) 2024, il consesso spaziale più importante al mondo, per presentare il progetto, inaugurato nel 2018 e oggi in fase di test. Superate le verifiche, sarà lui, il “lunar tyre”, a permettere la massima mobilità del rover pressurizzato che Toyota sta costruendo nell’ambito di Artemis, il programma a guida statunitense deputato a portare la prima donna e il prossimo uomo sulla Luna nel settembre del 2026, sebbene anche la Nasa non escluda un rinvio al 2028.

Non che i ritardi riguardino direttamente Bridgestone e Toyota: il loro coinvolgimento nelle missioni lunari dovrebbe concretizzarsi «attorno al 2031, o poco dopo» racconta Kuwada, quando, nella missione Artemis 7, il rover e le sue ruote dovranno affrontare la superficie di un altro mondo. Un ambiente non poco insidioso: «Abbiamo dovuto affrontare problemi complessi – spiega la manager, anche a capo del dipartimento per lo sviluppo del business nuova mobilità di Bridgestone – anzitutto l’escursione termica, che sulla Luna può portare da 120 gradi sotto zero in una zona buia agli oltre 170 gradi in un’area illuminata dal Sole, magari poco più in là; la mancanza di atmosfera e il vuoto spinto fanno il resto, esponendo a potenti dosi di raggi cosmici, pericolose per cose e persone, e alla capacità di aderire a qualsiasi superficie da parte della regolite. La ‘polvere lunare’, infatti, sottilissima come borotalco, complice la minore gravità – che sulla Luna è un sesto di quella terrestre – è in grado di insediarsi in qualsiasi anfratto».

Le caratteristiche tecniche

Condizioni che fanno del “lunar tyre” tutto fuorché uno pneumatico tradizionale: primo perché è interamente metallico, costituito da lamelle flessibili, battezzate “spokes” e capaci di adattarsi alla superficie sabbiosa e rocciosa, proprio come le zampe di un cammello (gomma e resina si degraderebbero rapidamente nell’ambiente lunare). Poi perché le ruote dei futuri rover giapponesi non contengono aria: somigliano più a uno “scheletro” vuoto al suo interno, resistente e in grado di annullare la gestione della pressione, scongiurando perdite e forature, inconvenienti non proprio semplici da affrontare a 400mila chilometri dal gommista più vicino.

Eppure, per quanto avveniristica, la “ruota lunare” non è un vezzo di un’azienda cresciuta sulle prestazioni dei suoi prodotti in condizioni estreme (con revenue, nel 2023, di oltre 200 milioni di dollari): anzitutto perché Bridgestone non esclude di testare la propria tecnologia anche su veicoli spaziali più leggeri dello “space bus” di Toyota, così come su escavatori o mezzi per la costruzione di avamposti lunari. Poi perché l’azienda, conferma Kuwada, è convinta che la “lunar economy” sia un orizzonte concreto e imminente: «Fornire servizi di mobilità sicura sarà essenziale sulla Luna; vale per le donne e per gli uomini che opereranno sul nostro satellite naturale come per l’edilizia. Non si sottovaluti, poi, la sfida: lo spazio rappresenta uno stimolo senza eguali per l’innovazione tecnologica. Come per il motorsport, la ricerca e i risultati imposti dall’ambiente spaziale si tradurranno in benefici qui, sulla Terra». Che poi è il mantra dell’edizione milanese dello Iac: “Responsible space for sustainability”, un inno all’innovazione sostenibile che, dalla Luna, ricada sulla vita di ogni giorno. Passando, anche, su una ruota.

Fonte: Il Sole 24 Ore