
Ecco perché la difesa europea dipende (finora) dai colossi Usa
I leader dell’Unione Europea si stanno affrettando a incrementare la spesa per la difesa in vista della decisione del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump di ridurre l’impegno di sicurezza dell’America nei confronti dell’Europa, mettendo in crisi un pilastro centrale della politica di difesa dell’UE. La Commissione dell’Unione è pronta a presentare il piano Rearm Europe che potrebbe mobilitare fino a 800 miliardi di euro, compresi 150 miliardi di euro di prestiti dell’Ue agli Stati membri per investimenti nella difesa. La domanda che sorge spontanea è come verranno spesi questi fondi e soprattutto le imprese europee potranno sostenere gli ordini che si annunciano massicci nei prossimi anni?
L’approvvigionamento
I produttori europei si trovano di fronte a sfide importanti per soddisfare la domanda crescente di difesa alla luce del fatto che finora si sono approvvigionati in buona parte da paesi extra Ue che rappresentano il 70% del totale delle importazioni della difesa, con una provenienza prevalente dagli Stati Uniti, pari al 55% sul totale delle importazioni europee tra il 2019 e il 2023, quota più che triplicata rispetto al periodo 2014 – 2018. Lo scambio intra-europeo, in costante riduzione negli ultimi anni – dal 31% nel 2011 all’11% nel 2021 – ha invertito il trend dall’inizio del conflitto in Ucraina, attestandosi al 20% nel 2023. Nello stesso periodo sono calate anche le importazioni europee dalla Russia, veicolate verso paesi alleati come Bielorussia, Armenia e Serbia. Aerei, navi e missili sono i primi tre principali segmenti dell’export europeo mentre nell’import dominano i veicoli militari e ancora aerei e missili.
«I produttori europei sono pienamente consapevoli dei loro obiettivi e stanno impiegando risorse significative per soddisfare un aumento senza precedenti dei tassi di produzione, guidati dal mutato scenario geo-politico e da ordini interni che si stanno concretizzando», ha spiegato Paolo Rinaldini, partner managing director della società di consulenza AlixPartners.
Il dominio di Mosca e Washington
Stati Uniti e Russia sono i paesi dominanti dell’export mondiale nei diversi segmenti militari, mentre in Europa l’industria della difesa francese è quella meglio rappresentata nei vari segmenti con il 13% delle esportazioni negli aerei militari, il 17% nelle navi militari e l’8% nei missili. La Germania, a sua volta, rappresenta il 12% dell’export mondiale in navi militari, il 12% nei motori e il 10% in prodotti tecnologici come i sensori. L’Italia ha una quota rilevante pari al 14% nelle navi militari, secondo i dati SIPRI ed elaborati da AlixPartners.
Le munizioni
La crescita della domanda è prevista in tutti i segmenti, ma è particolarmente pronunciata per i missili e l’artiglieria. Il caso delle munizioni è l’esempio plastico di come i produttori devono adeguarsi velocemente ai nuovi scenari: l’11% dell’arsenale europeo è stato dedicato all’Ucraina e c’è la necessità di ricostruire al più presto le scorte. La dimensione è impressionate: è stato calcolato che nel conflitto ucraino siano state utilizzate tra 4mila e 7mila munizioni al giorno, escluse quelle russe. Gli Stati Uniti hanno l’obiettivo di decuplicarne la produzione da 10mila al mese prima della guerra a 100mila al mese nel 2025, mentre i costi di produzione stanno salendo a causa delle materie prime utilizzate, come i metalli e gli esplosivi. Il polso della situazione lo ha dato produttore di armi tedesco Rheinmetall: «Abbiamo dato all’Ucraina quasi tutto. Putin, ovviamente, lo sa, ed è per questo che dobbiamo agire», ha detto ilceo Armin Papperger.
Fonte: Il Sole 24 Ore