Egitto e Bangladesh paesi «non sicuri»: i giudici ordinano il rientro di 12 migranti dall’Albania. Ecco perché il giudice ha deciso così

I rimanenti 12 migranti tra egiziani e bengalesi, portati mercoledì scorso al centro di permanenza e rimpatrio di Gjader, oggi sbarcheranno al porto di Bari per essere accompagnati in una struttura per richiedenti asilo. Un rientro «immediato» in applicazione del Protocollo siglato tra Giorgia Meloni e l’omologo albanese Edi Rama, dopo che ieri la sezione immigrazione del Tribunale di Roma — competente sulla base della norma di ratifica dell’accordo — ha emesso un lapidario «non convalida il trattenimento».

Secondo il giudice Luciana Sangiovanni, in questo caso non ci può essere procedura «accelerata» in Albania, che porta all’automatico rigetto dell’asilo in 28 giorni. Ma una ordinaria, da svolgere con tutte le cautele in Italia e che può portare a un permesso di soggiorno per asilo politico.

La partita si gioca tutta sull’interpretazione di «Paese sicuro». Secondo una sentenza del 7 maggio scorso della Corte di giustizia dell’Unione europea — che ha reinterpretato la direttiva 2013/32 (“Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale”) — «la designazione di un Paese come di origine sicuro dipende dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione». Cosa non certa per Egitto e Bangladesh, considerato che anche il ministero degli Esteri li definisce «sicuri» ma «con eccezioni per alcune categorie di persone: oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani». Peraltro, la posizione espressa dalla giudice Sangiovanni ricalca quelle già adottate da altri tribunali. Lo scorso 10 ottobre, per esempio, i giudici di Palermo hanno rigettato otto richieste di convalida per il trattenimento di cittadini della Tunisia prossimi alla procedura accelerata, che avrebbe innescato il rimpatrio. Anche in questo caso la differenza l’ha fatta la sentenza della Corte di giustizia Ue.

La sezione immigrazione di Roma, nei 12 casi esaminati, ha precisato che «in ragione dei principi affermati dalla Corte di giustizia dell’Ue, il Paese di origine del trattenuto non può essere riconosciuto come Paese sicuro, tanto più che la stessa sentenza sottolinea il dovere del giudice di rilevare, anche d’ufficio, l’eventuale violazione, nel caso sottoposto al suo giudizio, delle condizioni sostanziali della qualificazione di Paese sicuro» previste dalla direttiva 2012/32. Per questo, afferma che «non sussiste nel caso in esame il presupposto di applicazione della procedura accelerata di frontiera».

C’è poi un ulteriore punto che ha indotto il giudice di Roma a non convalidare. Una delle condizioni per applicare questa procedura accelerata prevede che la domanda di protezione internazionale sia presentata da un richiedente asilo «direttamente alla frontiera o nelle zone di transito», «dopo essere stato fermato per aver eluso o tentato di eludere i controlli (di frontiera, ndr)». Secondo quanto è scritto nell’ordinanza, «le circostanze e modalità di arrivo dei migranti presso le suddette aree, previste dal Protocollo e dalla legge di ratifica, escludono che possa anche solo ipotizzarsi l’applicazione della procedura accelerata di frontiera».

Fonte: Il Sole 24 Ore