Elena e Camilla, lettere piene di vita

Elena e Camilla, lettere piene di vita

L’amicizia, gli interessi letterari, il senso civico, l’amore per il territorio sono centrali nel carteggio tra Elena Croce e Camilla Salvago Raggi, ma in Scrivimi – il volume che raccoglie le loro lettere – vi è molto di più: uno spaccato della società italiana dalla fine degli anni 60 agli inizi degli anni 90, filtrato dallo sguardo di due interlocutrici che si confrontano in libertà; una miniera di riferimenti culturali, dalle letture predilette ai nuovi libri da recensire, alle riviste e al mondo editoriale italiano; lo sguardo oltre confine, a ciò che si muove tra Polonia, Russia, Germania, Ungheria; la consapevolezza delle dinamiche deteriori della politica, foriere di inefficienza e paralisi.

Chi sono, le protagoniste? L’una, Elena Croce (1915-1994), intellettuale di rango, prima delle quattro figlie di Benedetto Croce, tenace ambientalista, saggista e traduttrice. L’altra, Camilla Salvago Raggi (1924-2022), ligure, scrittrice e traduttrice che aveva appena pubblicato Dopo di me, dedicato a Lalla Romano, e scrive la prima lettera nel dicembre del ’67, colpita dal libro autobiografico di Elena L’infanzia dorata, nel quale si riconosce. Da lì comincia una corrispondenza fitta – quasi 230 scritti, inclusi biglietti e cartoline, di cui qui si ha un’ampia selezione – presto affiancata dagli incontri a Roma, in Liguria e Piemonte (dove Salvago Raggi e il marito Marcello Venturi avevano una casa in campagna). L’amicizia epistolare, infatti, si consolida nel tempo, alimentata dalle passioni comuni. Il tono di Camilla è ammirato e grato, non ossequioso; quello di Elena incoraggiante nei confronti dell’amica, che sprona alla scrittura, e libero nel giudizio. La pluralità di interessi, la capacità produttiva e l’impegno su più fronti di Elena emergono da ogni pagina. L’ambiente, prima di tutto, con la fondazione di Italia Nostra, e la difesa del paesaggio («di cui suo padre aveva promosso, in qualità di ministro della Pubblica istruzione, la prima legge di tutela, approvata nel 1922», ricorda Benedetta Craveri nella nota introduttiva). Un’azione infaticabile e tenace contro gli scempi ambientali, quella di Elena Croce, nella consapevolezza di «vuotare il mare con il ditale» e convinta allo stesso tempo che «solo con questi ditali si può fare qualcosa». Che cosa aspettarsi, del resto, da una classe politica fatta «da una banda di maturi goliardi irricuperabili al senso delle proporzioni»?

Dalle colonne di «Settanta» – mensile (poi bimestrale e trimestrale) di cultura, politica, economia fondato con il cognato Leonardo Cammarano (direttore), Gustaw Herling, Antonio Maccanico, Giovanni Russo e altri – Elena conduce le sue battaglie, scrive recensioni, sollecita interventi e arruola nuove firme, tra cui proprio quella di Camilla. Le due si scambiano pareri e segnalazioni sui libri in uscita e si confrontano su come promuovere quelli che prediligono. Bassani, Citati, Garboli, Zolla, Cristina Campo e tante voci di quella stagione ricorrono nelle lettere, coinvolti dalle due protagoniste.

Gli argomenti affrontati da Elena Croce sono tanti. Si spende per la scrittrice argentina Renata Danghi Halperin, costretta a lasciare il Paese per motivi politici, aiutandola a trovare un editore («Per questi amici sotto regimi dittatoriali essere riconosciuti nei Paesi d’origine – lei è nata in Italia – è un grande conforto»). Riflette sul Mezzogiorno dopo essersi messa in gioco politicamente, candidandosi con il Pri al Senato nel ’72 nella circoscrizione della Campania («Io a Napoli ne ho abbastanza di lagna meridionalistica. Il Mezzogiorno è – malgrado tutto – assai meglio dei meridionalisti»). Si sofferma sul mutamento dei costumi e dei rapporti sociali, impoveriti e svuotati («La sensazione che dobbiamo considerare finita per sempre la vita sociale come eravamo abituati a considerarla ormai è inconfondibile. Salvo i pochissimi amici – tutti troppo occupati – non si comunica più con nessuno, ci siamo finalmente davvero nella società di massa»).

Camilla Salvago Raggi assorbe i consigli, mette a parte l’amica sui progressi nella scrittura rivolta alla propria infanzia e alle radici familiari, le racconta dei viaggi. Certamente, osserva il curatore Stefano Verdino, non può muoversi «sul vasto piano intellettuale multifocale di Elena», ma ne coglie «ammirata il dinamismo mentale». Entrambe concludono sempre con “scrivi presto” o rinnovando un invito a vedersi, a suggello dell’amicizia sincera. Nell’ultima lettera, datata 26 aprile 1992, quando mancavano due anni alla morte, Elena Croce si accomiata così: «In questa penosa siccità letteraria tu sei riuscita a darci un libro delizioso e ricco di vitalità [Prima del fuoco, Longanesi 1992, ndr ], veramente originale e dobbiamo anche esserti veramente grati. Spero anche che il tuo esempio – la bella naturalezza del tuo racconto – possa un po’ rimuovere l’attuale devitalizzazione letteraria. Mi piacerebbe molto che ci si potesse vedere – e spero che ci riusciremo malgrado la mia inadeguatamente scarsa agilità! Affettuosamente tua, Elena».

Fonte: Il Sole 24 Ore