Elettricità, con i prezzi zonali possibili maggiori benefici alle industrie

Elettricità, con i prezzi zonali possibili maggiori benefici alle industrie

Con l’abbandono, dal 1° gennaio 2025, del prezzo unico nazionale dell’energia elettrica (il Pun) è entrato in funzione un nuovo sistema di calcolo dei prezzi zonali, legati alle diverse aree geografiche (con una loro media ponderata chiamata Pun index Gme). Se è ancora presto per vedere spostamenti rispetto all’indice di prezzo nazionale in questa prima fase del regime transitorio – che durerà almeno un anno e che mette in campo meccanismi perequativi proprio per evitare differenze troppo marcate nel Paese – lo strumento traccia una direzione nel contesto di transizione energetica che stiamo vivendo.

Incentivo allo sviluppo delle rinnovabili

«È un segnale», commenta Lucia Visconti Parisio, docente di economia dell’ambiente e dell’energia all’Università Bicocca di Milano: «Se in un’area l’elettricità è scarsa o costosa, prodotta con tecnologie superate, si pagherà di più. Diversamente se in una zona la penetrazione delle rinnovabili è elevata, si potrà pagare di meno. Il meccanismo dovrebbe contribuire a incentivare, anche tra i consumatori, lo sviluppo delle fonti pulite. In Italia i prezzi sono ancora legati al gas. Se le rinnovabili – anche con tecnologie promettenti di larga scala come l’eolico offshore – riuscissero a coprire completamente la domanda di mercato potremmo osservare valori pari a zero». Una conseguenza è dunque che potranno essere premiate le regioni più green.

Benefici per gli operatori industriali

Al momento, proprio per effetto dei meccanismi perequativi, «la differenza in bolletta non sarà elevata», conferma Alessandro Marangoni, ceo della società di consulenza Althesys: «Tuttavia, il passaggio ai prezzi zonali potrebbe effettivamente favorire le regioni con più energia rinnovabile installata, a patto che anche le altre regioni della medesima zona facciano lo stesso. A oggi solo Calabria, Sicilia e Sardegna presentano confini geografici e di mercato elettrico coincidenti. Ciò porterebbe vantaggi tangibili in termini di riduzione delle bollette, considerando, però, che la materia energia ne è solo una parte. Per questo beneficeranno dei prezzi zonali soprattutto i grandi operatori industriali perché per questi la componente energia pesa relativamente di più e perché potranno contrattare con i loro fornitori di energia prezzi più bassi a seconda dell’area geografica. Ci aspettiamo inoltre che il nuovo metodo di calcolo abbia un impatto anche sui prezzi dei Ppa (i power purchase agreement, contratti di fornitura a lungo termine firmati al di fuori della borsa elettrica, ndr), abbassandoli nel lungo periodo».

Il burden sharing

In questo scenario, rimane la questione dello sviluppo delle rinnovabili, che al momento sembra ancora sbilanciato a favore del Sud mentre la maggiore domanda dell’industria è collocata nel Nord. «A questo è legato un altro strumento aggiornato nel dl Aree idonee: il burden sharing, che prevede una quota minima di potenza rinnovabile che ogni regione deve aggiungere annualmente fino al 2030, calcolata in base a diversi parametri, tra cui il potenziale teorico di sviluppo (80%), la domanda elettrica (10%) e la situazione economica (Pil, 10%)», spiega Marangoni: «Il burden sharing potrebbe attenuare le attuali differenze tra le zone di mercato e, in prospettiva, anche enfatizzare la funzione dei prezzi zonali. Tuttavia, il futuro decreto Fer X transitorio, la cui bozza è stata da poco approvata a Bruxelles, non prevede l’applicazione dei coefficienti localizzativi che originariamente dovevano essere individuati per indirizzare gli investimenti in maniera coordinata con lo sviluppo delle reti, ma solo di un fattore di correzione per le tecnologie solari. Questo rischia di posticipare gli sforzi necessari in senso di una più omogenea distribuzione territoriale delle nuove rinnovabili».

Il riferimento è al decreto che introduce un nuovo regime di sostegno per le fonti rinnovabili mature (solare, eolico onshore, idroelettrico gas residuati dei processi di depurazione) valido fino al 31 dicembre 2025 e per cui la Commissione Europea ha approvato a dicembre il regime incentivante da 9,7 miliardi.

Fonte: Il Sole 24 Ore