Emissioni, servono 25-29 miliardi in più per decarbonizzare la moda europea

Serve una cifra che oscilla tra i 24,7 e i 29,1 miliardi di euro da investire in decarbonizzazione, in aggiunta agli investimenti già fatti, perché le aziende della moda europea possano raggiungere gli obiettivi di taglio delle emissioni fissati dall’Unione europea che, entro il 2030, impone col suo piano Fit for 55, un -55% sui livelli di emissioni di gas serra del 1990. L’alternativa è ridurre la produzione per rimanere entro i limiti di emissioni, ma questo comporterebbe una perdita di ricavi pari a circa 156,7 miliardi e quindi sette volte superiore alla cifra degli investimenti.

I dati emergono dall’edizione 2024 del report “Just fashion transition” realizzato da The European House-Ambrosetti (Teha) e presentato al 3° Venice Sustainable Fashion Forum («Leading Re-generation) organizzato da Smi, Teha e Confindustria Veneto Est, in corso alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia.

Decarbonizzazione a rilento

La necessità di un investimento extra nasce in ragione del ritardo che la moda europea (così come molte altre industrie) ha rispetto agli obiettivi imposti dalla Ue sul fronte della decarbonizzazione e che lo studio di Ambrosetti quantifica in circa otto anni: il sistema moda, che pure negli ultimi sei anni ha fatto progressi riducendo il livello di emissioni in rapporto al valore della produzione (grCO2 per euro di fatturato) del 9,7% all’anno, mantenendo questo ritmo arriverebbe ai target solo nel 2038. Per accelerare dovrebbe tagliare 76,1 milioni di tonnellate di gas serra entro il 2030 (un volume pari a oltre il 60% dell’impronta 2022) e il costo, appunto, oscilla tra i 25 e i 29 miliardi.

Questo tema è particolarmente critico per due ragioni: la prima è che il tasso generale di investimento nel settore è in calo costante da almeno sei anni (-7,9% sul 2018). La seconda ragione è che la moda sta vivendo un momento storico sfidante. Anche le aziende del lusso che, fino ad ora, si erano dimostrate anticicliche rispetto alle grandi crisi stanno registrando cali di fatturato – Lvmh ha messo a segno un -2% nei nove mesi; Kering ha archiviato il terzo trimestre a -16% zavorrato dal brand Gucci (-26%) – e questo si sta ripercuotendo su tutta la filiera.

Il nodo delle piccole aziende: per 9 su 10 è impossibile investire

Secondo l’indagine di Teha – che ha effettuato assessment su oltre 500 aziende (373 della filiera italiana, 100 grandi imprese europee e 30 retailer) in base a 775 data point e analizzato i bilanci di quasi 2.700 società – gli investimenti richiesti sono insostenibili per il 92% delle aziende italiane della filiera. Che dovrebbero rinunciare a quasi il 6% di margini già ridotti (vanno in media tra il 7 e l’11%) se confrontati con quelli dei brand. E che risultano essere indebitate quasi il doppio (54% vs 31%) rispetto alle grandi imprese, con tempi lunghi il doppio della media (12 mesi contro 6,5) per ripagare questi debiti: «Le piccole aziende sono troppo fragili, c’è bisogno di promuovere integrazioni per affrontare le transizioni sostenibile e digitale che hanno bisogno di strutture economico finanziarie più solide», ha spiegato Carlo Cici, partner e head of Sustainability di Teha. In quest’ottica «servono piani strategici nazionali di settore con cui darsi regole di mercato negli scambi che valorizzino gli investimenti in sostenibilità», ha detto Cici.

Fonte: Il Sole 24 Ore