Etichetta Esg, le nuove regole costringeranno 1600 fondi a cambiare nome

Almeno 1.600 fondi azionari europei dovranno cambiare nome eliminando la sigla Esg o la parola “sostenibilità” dalla propria etichetta. Se invece tutti volessero conservare la propria denominazione, dovranno disinvestire azioni che valgono circa 40 miliardi di dollari. È quanto ha calcolato Morningstar, il data provider statunitense, a cui fa capo anche l’agenzia di rating Esg Sustainalytics; sono stati analizzati 4.300 fondi europei, attivi e passivi, che all’interno dell’etichetta possiedono la sigla Esg o parole legate alla sostenibilità così come indicato dalle nuove linee guide Esma, authority Ue che vigila sui mercati finanziari.

Le linee guida

Il 14 maggio scorso, Esma ha pubblicato il documento sull’utilizzo dei termini legati alla sostenibilità nel mondo del risparmio gestito con l’obiettivo di stanare chi fa greenwashing. Oltre all’introduzione della categoria transition, Esma ha stabilito una soglia: la sigla Esg potrà essere utilizzata soltanto dai fondi con almeno l’80% dei propri investimenti che soddisfano caratteristiche ambientali o sociali o gli obiettivi di investimento sostenibile. Tali fondi dovranno, in particolare, escludere dal portafoglio aziende che non rispettano le regole dei benchmark allineati al trattato di Parigi sul clima: sono i cosiddetti indici Pab (Paris aligned benchmark) che escludono società con una quota di fatturato derivante dai combustibili fossili. Per i fondi inseriti invece nella categoria transition, saranno depennate le aziende che non rispettano i criteri, meno restrittivi, dei Climate transition benchmark (Ctb). «Sebbene sia impossibile prevedere il pieno impatto di queste linee guida, ci aspettiamo che le loro implicazioni siano significative – ha dichiarato Hortense Bioy, responsabile ricerca sugli investimenti sostenibili di Morningstar Sustainalytics –. Hanno il potenziale per rimodellare completamente il panorama dei fondi Esg in Europa».

La ricerca Morningstar

Fra 4.300 fondi analizzati vi erano anche prodotti obbligazionari sui quali però i dati erano carenti. Da qui la decisione di Morningstar di tenerli fuori dall’analisi. Dall’indagine è emerso che i settori più interessati dalle potenziali dismissioni da parte dei gestori sono energia, industria e materiali di base. I Paesi più colpiti sarebbero invece Stati Uniti, Francia e Cina in termini di valore di mercato. Tra i titoli più colpiti figurano TotalEnergies, Tencent Holdings, Ecolab e Shell.

I fondi

Morningstar Sustainalitycs ha dunque valutato il potenziale impatto delle linee guide Esma sui portafogli dei fondi e, sulla base delle esclusioni Pab e Ctb, ha elaborato una serie di classifiche nell’ambito dei 1600 prodotti selezionati. In alto in pagina abbiamo la graduatoria di strumenti, in gran parte passivi, con il più alto numero di società che potrebbero non essere allineate con i criteri Pab e Ctb. Nelle prime cinque posizioni, ci sono due fondi di Vanguard, con 131 e 128 azioni, e tre di State Street: due portafogli con 126 azioni e uno con 109 titoli non allineati.

Nel report vi sono poi altre classifiche: c’è quella con i fondi con il più alto valore di mercato in società che potrebbero violare gli indici Pab e Ctb; in questo caso, nei primi tre posti vi sono due passivi di Northern Trust, il World Custom Esg Equity Index Fund e Fgr – Emerging Markets Custom Esg Equity Index Fund: nei loro portafogli le aziende sotto osservazione pesano rispettivamente per 956 e 734 milioni di dollari; al terzo posto vi è un fondo attivo, il BlackRock Solutions Funds Icav – Coutts UK Esg Insights Equity Fund (715 milioni di euro il peso delle aziende considerate). Che faranno a questo punto i gestori? Per Morningstar vista «la natura rigorosa delle esclusioni del Pab, ci aspettiamo che molti fondi abbandonino “Esg” e i termini correlati ai loro nomi; altri si riposizioneranno come fondi di transizione, ai quali si applicano le esclusioni meno vincolanti del Ctb».

Fonte: Il Sole 24 Ore