Europee, dalla settimana corta agli stage retribuiti: ecco i 30 punti del programma Pd
Sì a una Difesa comune europea
Il Pd si schiera anche a favore della creazione di una Difesa comune europea sia con scopo di deterrenza rispetto alle mire espansionistiche di Putin sia per efficientare le spese militari. «Vogliamo costruire una difesa comune integrata per l’Europa, che garantisca sicurezza e libertà alle proprie cittadine e ai propri cittadini, fondata su un coordinamento strutturale delle politiche nazionali di difesa, adatta a rispondere alle crisi presenti e future, nella cornice di una vera e propria politica estera e di sicurezza comune, in stretta cooperazione con alleati e partner – è scritto a pagina 28 del programma -. Siamo coscienti che la difesa comune europea avrà necessariamente bisogno di nuove capacità militari che siano sviluppate, acquisite e gestite in modo congiunto. Non crediamo che l’Europa debba costruire un’economia di guerra, ma piuttosto che sia necessario e urgente un coordinamento più stretto degli investimenti e della produzione per la difesa a livello europeo, per spendere insieme e in modo più integrato, efficace ed efficiente, evitando concorrenza e sovrapposizioni costose e dannose e liberando quindi risorse per costruire un’Europa sociale e sostenibile».
L’afflato pro Palestina
Se sull’Ucraina la posizione atlantista del Pd è ferma, sul fronte del conflitto israelo-Hamas i toni sono un po’ diversi: alla «ferma e inequivocabile condanna» dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre si unisce la condanna delle «violazioni del diritto internazionale umanitario compiute dal governo di Natanyahu». Così come alla storica soluzione dei ”due popoli, due Stati” si unisce l’impegno per «il riconoscimento europeo di uno Stato della Palestina».«Separare Hamas dai palestinesi è un imperativo e un dovere della comunità internazionale che, dopo anni di colpevole abbandono, deve tornare a farsi carico della questione palestinese». Questione di sfumature, certo, ma l’impronta del nuovo corso su questo fronte si sente.
Focus su lotta al precariato e al «lavoro povero»
Tuttavia il capitolo su cui Schlein insiste di più, e la conferma la danno anche i manifesti elettorali che ritraggono lavoratori precari, è quello del lavoro: mai più stage non retribuiti, rilancio della proposta delle opposizioni di introdurre un salario minino legale di 9 euro, proposta di riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio. «Lavoro e povero non possono più stare nella stessa frase», è lo slogan. Da segnalare anche l’attenzione a giovani e giovanissimi con le proposte di alzare i livello di accesso a tutte le forme di Erasmus e di estendere il voto ai 16enni. Così come si rivolge ai giovani diplomati e laureati la proposta del «definitivo riconoscimento reciproco e automatico di tutti i corsi di studio scolastico e universitario in Europa come premessa per creare una European Edication Area entro il 2025, come attendiamo da troppi anni».
Per le imprese (solo?) obiettivo green
Rispetto alle precedenti segreterie le ricette per le imprese sono minori, e tutte incentrate sull’obiettivo della transizione ecologica e delle sostenibilità sociale. «L’erogazione di agevolazioni fiscali e di finanziamenti, sul piano interno, deve essere condizionata all’impegno da parte delle imprese beneficiarie del rispetto di condizionalità orizzontali legate al rispetto dei contratti, delle condizioni di sicurezza del lavoro, dei principi di parità di genere e di non discriminazione, del vincolo di sostenere progetti coerenti con la tassonomia europea sugli investimenti sostenibili, di valutazione della responsabilità sociale delle imprese». E ancora, disegnando un modello di sviluppo in cui l’intervento pubblico sia più forte: «Vogliamo definire una nuova politica industriale europea per affermare la necessità di una nuova complementarità tra intervento pubblico ed iniziativa privata. Non sarà mai sufficiente un aggiustamento spontaneo guidato dalle sole forze del mercato, così come appaiono del tutto miopi e inadeguate politiche di carattere protezionistico per sostenere l’attuale specializzazione produttiva».
Una nuova governance economica: no al nuovo Patto di stabilità
«Sulla scia delle storiche decisioni che hanno portato all’introduzione di Next Generation EU, realizzate grazie all’azione di noi progressisti europei e in particolare dei commissari Paolo Gentiloni e Nicolas Schmit, sosteniamo con forza un nuovo corso di politica economica, necessario anche al rilancio del cammino di integrazione politica». L’omaggio al democratico Gentiloni c’è, però è subito ridimensionato dalla rivendicazione del recente voto non favorevole, in smarcamento anche dalla famiglia dei Socialisti e democratici, sul nuovo Patto di stabilità. «In questo senso, crediamo che la riforma del Patto di Stabilità e Crescita rappresenti un’occasione mancata – si spiega -. Nonostante la proposta della Commissione offrisse un buon compromesso tra flessibilità nella pianificazione dei bilanci e necessità di un debito pubblico sostenibile, è prevalsa ancora tra i Governi una logica che non garantisce un margine più ampio per la riduzione del debito e la specificità dei fabbisogni di investimento. Il ruolo del Governo italiano è stato marginale e dannoso. Serve molto più coraggio, ritrovare l’ambizione che ha dato vita al Next Generation EU. Non possiamo permettere che si chiuda la finestra di opportunità lanciata dal più grande piano di investimenti comuni della storia europea».
Fonte: Il Sole 24 Ore